Tecniche di gruppo
Specialmente quando si devono gestire gruppi numerosi, si può ricorrere ad utili tecniche per ottenere risultati in tempi ragiopnevoli. Anche un’aula con una quindicina di partecipanti richiede al formatore doti di preformer, perché si genera la dinamica “uno contro tutti” o “noi siamo qui per te, facci vedere cosa sai fare”. Ma se l’uditorio diventa molto numeroso, o se si richiede al gruppo di fare qualcosa oltre che ascoltare e apprendere, come discutere, fare laboratorio, fare esperienze multisensoriali e ambientali, le cose si complicano e si richiede l’uso di tecnologie adeguate come luci, amplificazione, proiezioni visive, e di tecniche di gruppo non strutturate e strutturate. Dalle spettacolari conferenze TED, dalle rutilanti convention aziendali, si va fino alla suddivisione in sottogruppi che discutono e agiscono per poi confrontarsi con i conduttori e riflettere sulle esperienze fatte.
Tecniche non strutturate
Le tecniche non strutturate si basano sulle qualità e l’esperienza di chi gestisce il gruppo, che può essere il docente, il leader, il moderatore o il conduttore se si tratta di un convegno o di un talk show.
Il gestore del gruppo può assumere un atteggiamento punitivo quando biasima tutto il gruppo, correttivo quando li invita alla disciplina, supportivo quando li esorta o li elogia, interrogativo quando fa domande invece di dare risposte, informativo quando riferisce notizie e mostra documenti, chiarificativo quando spiega il nocciolo del problema e della situazione, riassuntivo quando sintetizza le cose dette in precedenza, propositivo quando spinge all’azione.
Chi gestisce il gruppo si serve anche di tecniche personali come il contatto oculare, quando dà all’ascoltatore l’impressione che stia guardando proprio lui, o come la sua postura, la gestualità e la mimica, il tono e il volume della voce, le pause di respiro, i silenzi.
Infine l’oratore può compiere un insieme di azioni che influiscono sul comportamento e sul clima del gruppo, come aprire i lavori all’ora stabilita, a prescindere dal numero dei presenti, e chiuderli all’ora stabilita, e uscire dalla stanza anche se qualcuno si sofferma. Oppure restare in cattedra o sul podio, o muoversi e andare in giro, anche fra gli ascoltatori, far distribuire materiali, o ancora accettare o rifiutare cibi e bevande, colloqui o incontri al di fuori del gruppo, uso dei telefonini, intromissioni di estranei o interventi estemporanei.
Secondo le sue doti particolari può essere istrionico, metaforico, psicologico. Può preparare meticolosamente i suoi interventi seguendo una scaletta rigida, o abbandonarsi all’improvvisazione. Ad un estremo c’è il freddo burocrate che legge ordini di servizio, all’altro estremo c’è la persona di spettacolo, il trascinatore, il seduttore carismatico. Da una parte troviamo l’animatore che valorizza al massimo il pubblico, lo attiva e sparisce dietro di esso, dall’altra il dominatore che esercita la sua leadership per sottomettere un uditorio passivamente ricettivo.
Tecniche strutturate
Le tecniche strutturate sono metodi con cui formatori, animatori, conduttori e relatori possono gestire gruppi anche molto numerosi per ottenere risultati specifici come risolvere problemi, appianare conflitti, trovare idee nuove.
Con esse si dà al gruppo una struttura temporanea, con forma, ruoli, codici, norme, fasi e compiti alterati rispetto all’ordinario. Il gruppo viene alterato per il tempo previsto dalla tecnica, e poi ritorna nella configurazione originale, e con il debriefing riflette sui benefici acquisiti proprio grazie all’alterazione della forma o all’esperienza fatta. Questa alterazione non viene improvvisata al momento, ma è organizzata in precedenza e somministrata con procedure dettagliate.
Per esempio, se si vuole rendere il gruppo operativo, lo si divide in sottogruppi per periodi limitati con obiettivi specifici, che poi riferiscono in plenaria per mettere in comune i risultati ottenuti. Quindi il gruppo può riprendere la sua struttura originaria.
Le tecniche sono numerose e possono essere usate sia da sole (per esempio fare un brainstorming), sia combinandole con altre tecniche (fare un brainstorming con i Sei Cappelli e l’Acquario). Eccone una panoramica sintetica che rimanda alle voci specifiche dell’Atlante di Problem Solving.
Discussione e confronto.
Le tecniche di discussione e confronto si usano per facilitare processi di scambio di conoscenze, espressione di differenze, sviluppo di linguaggi comuni, esecuzione di compiti a tavolino o all’aperto.
Scomposizione
Il gruppo si divide in parti o sottogruppi, cui viene affidato l’approfondimento di un tema. I sottogruppi possono essere formati da una sola persona, da una coppia, da più persone. La scomposizione può essere fatta a piacere o strutturata con le tecniche dell’Acquario o di Philips 6×6.
Confronto
Se nel gruppo ci sono categorie distinte e possibilmente conflittuali si possono creare sottogruppi con le categorie contrapposte (dirigenti/operai, insegnanti/genitori, o qualsiasi altra forma di antagonismo come alti/bassi, razionali/sentimentali, interni/esterni). La contrapposizione può avvenire in un dibattito con le due squadre contrapposte, oppure ogni squadra può sviluppare le proprie ragioni e ipotizzare quelle degli altri, per poi confrontarsi e constatare quanto la conoscenza degli altri fosse viziata da bias cognitivi. Le identità possono essere reali o fittizie ed assunte solo durante il lavoro di gruppo, come avviene nel mio gioco Triangoli, quadrati, cerchi dove il gruppo si divide in tre sottogruppi.
Raccolta dati
Queste tecniche si usano per raccogliere informazioni sul gruppo, sui suoi componenti, sul tema di cui si dovrà discutere. La raccolta dati si fa con il cappello bianco dei Sei Cappelli di De Bono, con giri di tavolo in cui i partecipanti si autopresentano, con tecniche di riscaldamento come le carte creative, con tecniche di comunicazione come la Finestra di Johari.
Creatività
Le tecniche per stimolare il gruppo a produrre idee e soluzioni nuove vanno dal brainstorming al diagramma di affinità, dalla creazioni di mappe mentali e concettuali alle fantasie guidate. La mia Mappa della fantasia combina la fantasia guidata con la mappa mentale, per stimolare il gruppo in sedute di storytelling. Servono allo scopo anche giochi di ruolo o di simulazione come il mio Concordia Discors.
Produttività
Per fare team building si possono far fare ai sottogruppi esercitazioni analogiche come costruire una barca di carta lunga 2 metri che galleggi; esercitazioni addestrative per svolgere un compito relativo alle proprie competenze, come manager che sviluppano progetti o fanno negoziazioni, o venditori che si cimentano in business games; action learning ossia svolgere compiti reali, lavori commissionati da veri clienti.
Problem solving
Anche se tutte le tecniche contengono elementi o finalità di problem solving, alcune di esse focalizzano maggiormente sulla definizione e soluzione di problemi. I problemi possono essere simulati come nel Dilemma del prigioniero, o reali come la scelta di cadidati per un compito difficile, o la riduzione dei difetti di produzione in una catena di montaggio. Le simulazioni possono riguardare esercitazioni di emergenza incendi, casi critici interni all’azienda o calamità naturali, purché ci sia sempre il problema da individuare, definire e risolvere. I problemi possono essere simulati e limitati al gioco come nel role play o nei laboratori di fantasia, o reali come nei laboratori produttivi. Alla soluzione dei problemi seguono giochi di decisione che addestrano alla valutazione di più soluzioni, e simulazioni di progetto per applicare le decisioni prese e trasformarle in progetti operativi.
Tecniche corporee
Nella formazione esperienziale si mette in gioco tutta la persona. Le tecniche di comunicazione non verbale stimolano a parlare col corpo invece che con la voce: il training teatrale, il mimo, l’animazione corporea, la danza moderna o popolare. Alcune tecniche di socialità corporea servono a stimolare le relazioni corporee dei partecipanti, come la passeggiata cieca, la caduta, la spinta, il sollevamento, tutte tecniche in cui un o più individui si abbandonano all’azione degli altri, sperimentando fisicamente il senso di fiducia o diffidenza che ne consegue. La trasposizione corporea ed esperienziale del processo di problem solving è alla base del mio Problem Walking.
Formazione esperienziale
L’outdoor training, i giochi e laboratori di simulazione, dai simulatori di volo ai paintball, i percorsi di sopravvivenza o di avventura, sono esperienze complesse che combinano molte delle tecniche sopra ricordate. Ma qualunque siano le esperienze, è fondamentale farle seguire da un buon debriefing che è il solo strumento capace di calarle nella realtà dei partecipanti e farle diventare leve efficaci di cambiamento e di soluzione dei problemi.