Percezione visiva
La percezione visiva è l’attività mentale con cui gli stimoli visivi sono trasformati in immagini che hanno un significato. La percezione avviene nel momento in cui il cervello riceve ciò che gli inviano gli occhi e lo organizza, lo configura in base a forme conosciute o archetipe. Il processo avviene con tutte le forme di percezione sensoriale, ossia con tutti gli stimoli e le informazioni che il cervello riceve dai cinque sensi, trasformandoli in forme, colori, movimenti, reazioni, azioni, profumi, sapori, sensazioni tattili, suoni. rumori.
I due elementi preliminari a qualsiasi tipo di percezione sono l’identificazione e lo stimolo distale o prossimale. Quando vedo o sento qualcosa, cerco di capire di che si tratta e se è qualcosa di lontano o vicino. Se per esempio identifico il ruggito di un leone, è importante assicurarmi che sia distale e non prossimale!
Il processo della visione parte dal campo visivo, da ciò che vedono i nostri occhi. E’ un campo pressoché rettangolare, orizzontale, più nitido al centro e man mano meno nitido ai lati, che dirigiamo verso ciò che ci interessa grazie ai movimenti della testa e del collo. Gli stimoli elettrici arrivano alla corteccia cerebrale che li elabora e li organizza per dare un senso a ciò che ci si presenta dentro il campo visivo, coordinare la visione con i movimenti del corpo, identificare una figura nello spazio, riconoscere l’ambiente in cui ci troviamo, reagire agli stimoli visivi esterni.
Il campo visivo, se cerchiamo di osservare ciò che stiamo vedendo, si presenta press’a poco in questo modo: una immagine panoramica a orientamento orizzontale, nitida al centro e man mano sfocata verso i lati. Al centro distinguiamo bene forme e particolari, e separiamo la figura (ciò che stiamo guardando) dal fondo (tutto il resto). Mettiamo sempre al centro del nostro campo visivo ciò che ci interessa vedere al momento, dirigendovi lo sguardo grazie ai movimenti della testa e del collo. Alla visione laterale non interessano i particolari, ma il movimento: se qualcosa si muove ai margini del nostro campo visivo, ce ne accorgiamo anche senza distinguere di che si tratta. Ciò è molto importante per accorgersi in tempo dell’arrivo di qualcosa di minaccioso. Se vogliamo saperne di più su ciò che si muove intorno a noi, basta volgere il capo verso di esso e porlo al centro nitido della nostra visione.
Il processo percettivo avviene in modo pressoché istantaneo, e ad ogni stimolo segue una reazione. Se vedo una luce forte chiudo gli occhi. Se sento un rumore sussulto. Se tocco un ferro rovente urlo per il dolore. Se assaggio un cibo amaro mi viene da sputarlo. In tal senso parliamo di sistema percettivo/reattivo da cui dipendono le nostre conoscenze, i nostri comportamenti, le nostre relazioni con noi stessi, con gli altri, col mondo in cui viviamo.
La reazione dipende dal modo in cui percepiamo. Un bel suono di violino sarà commovente per un amante della musica, ma sarà indifferente per un sordo. Ma oltre alla ricezione dello stimolo sensoriale, scatta la nostra interpretazione che dipende da conoscenze istintive (il seno materno per nutrirsi) e acquisite (il volto della mamma, che si riconosce ogni volta che lo si vede).
La Gestalt, o psicologia della forma, sostiene che il processo di percezione consiste in una configurazione, nel dare una forma a tutto ciò che ci arriva dall’esterno, e che da questa configurazione dipende il nostro comportamento.
Questa configurazione si realizza in svariati modi. Vi contribuiscono tutti i sensi, ma soprattutto la vista, che ci mette in contatto con le cose del mondo prima che potessimo toccarle, odorarle, gustarle. Perfino il lampo nel cielo si vede molto prima di udirne il tuono. Ecco perché i modi di configurare in gran parte coincidono con i modi stessi di percepire visivamente.
La percezione è stata studiata con due approcci, il costruzionista e l’ecologista. Per il primo ciò che si vede è condizionato da ciò che si sa, che si è visto in momenti precedenti. Ciò che vediamo non è una “fotografia” del mondo, ma un nostro modello, una mappa che costruiamo in modo corretto o distorto. Per il secondo vedere significa mettersi in relazione con l’ambiente e scoprirlo man mano attraverso i sensi, invece di costruirlo. La percezione diventa così uno degli aspetti essenziali dell’interazione tra organismo e ambiente per cui, all’interno di questo processo attivo, tutte le percezioni sono da porre in relazione alla posizione del corpo, alle sue attività e alle sue funzioni nell’ambiente stesso.
Rudolf Arnheim sostiene che il pensiero è percettivo, e non ci sono separazioni tra vedere e pensare, percepire e ragionare. Per sapere che cosa vediamo occorre comprendere come vediamo e perché, in base ai principi della Gestalt, sia che guardiamo la natura, sia che siamo fruitori di un’opera d’arte visiva o di un film.
Il vedere è un’attività complementare ad altre attività percettive. Se sentiamo un suono o un rumore, o se con la coda dell’occhio – ossia con la visione periferica – avvertiamo un movimento, ci viene istintivo volgere il capo verso la sorgente di quel suono o di quel movimento. Oppure è la vista che mette in moto altri sensi, come un bel piatto di tagliatelle che ci fa venire l’acquolina in bocca, o un gatto che ci fa venir voglia di accarezzarlo.
La percezione visiva inizia col distinguere tra figura e sfondo: ciò che ci interessa è la figura, tutto il resto è sfondo. Prosegue col configurare la figura, col darle una forma. Si conclude col dare un significato alla forma percepita, a identificarla interpretandone quelli che pensiamo ne siano gli elementi costitutivi. Per farlo il cervello ricorre a schemi innati o comunque preesistenti e ricorrenti. Eccone una sintesi.
Gli schemi percettivi
Continuità: tendiamo a raggruppare elementi che ci sembrano collegati fra loro, considerandoli come un unico oggetto. Vediamo una linea tratteggiata, non tanti piccoli segmenti allineati. Vediamo due linee sovrapposte, non due punte accostate.
Somiglianza: raggruppiamo elementi simili per forma, colore, dimensione, movimento.
Buona forma: raggruppiamo gli elementi per ottenere la figura più semplice. Vediamo un rettangolo sopra un cerchio, non un rettangolo accanto ad un settore circolare.
Vicinanza: raggruppiamo elementi vicini considerandoli un’unica figura e relegando gli altri elementi nello sfondo. A sinistra non vediamo nove cerchi, ma un rettangolo, a destra non tre cerchi ma un triangolo.
Chiusura e completamento: raggruppiamo gli elementi in modo che formino una figura chiusa, o completiamo quelle che ci sembrano figure incomplete.
Esperienza passata: raggruppiamo gli elementi riconoscendovi forme che abbiamo acquisito con esperienze precedenti. Il riconoscimento del volto umano è più forte della somiglianza, perché vediamo due facce, non quattro cerchietti (occhi). Su questo principio si basa il riconoscimento di marchi, loghi e simboli (Nike, hippies e Mercedes).
Destino comune: vediamo una linea rossa dietro uno steccato, non cinque quadrangoli rossi. Raggruppiamo i triangoli che vanno tutti dalla stessa parte.
Figura/sfondo: consideriamo ciò che ci interessa come figura, il resto come sfondo. Vediamo il triangolo sovrapposto ad un triangolo bordato di rosso e a sei cerchi, non sei settori circolari e tre angoli, come potrebbero essere gli elementi che formano l’immagine.
Persistenza: la persistenza di forme e colori ci fa identificare lo stesso oggetto anche se si presenta con illuminazione e prospettive diverse. Vediamo lo stesso quadrato verde di prospetto, in prospettiva e inclinato e lontano, invede di vedere tre figure diverse. I pomodori ci sembrano sempre rossi, anche se alcuni sono per metà gialli, bianchi e marrone.
Dimensione: oggetti simili di dimensioni diverse vengono percepiti come più vicini o più lontani. Le colonne a sinistra lungo la strada ci sembrano della stessa altezza, quelle a destra ci sembrano sempre più alte man mano che si allontanano.
Colore: i colori caldi (dal giallo verso il rosso) tendono ad avvicinare le forme, i colori freddi (dal giallo verso il blu) tendono ad allontanarle. I colori saturi vengono avanti rispetto a quelli meno saturi.
Luminosità: le forme vengono percepite per contrasto. I rettangoli grigi hanno tinte piatte, ma sembrano sfumati perché nei lati a contatto si percepisce un contrasto maggiore. La luce mette in evidenza le forme e attira l’attenzione, come ben sanno i registi teatrali.
Movimento: sequenze di immagini, forme allungate danno l’illusione del movimento. La freccia lunga sembra più “veloce” di quella corta. Il carattere tondo è meno veloce di quello corsivo. I tre rettangoli sono percepiti come un solo rettangolo che ruota verso destra.
Disposizione. Gli stessi oggetti vengono percepiti in modo diverso, a seconda di come si dispongono nel campo rettangolare. Diciamo che le forme stanno in alto se si trovano nella parte superiore del campo, sono stabili se sono attaccate ai bordi, sono fluttuanti se sono staccate, pesanti se stanno in basso, leggere se “volano”, in equilibrio stabile se poggiano con tutta la base, instabile se poggiano solo con un punto.
Gradiente. Il gradiente è il mutamento graduale di forme, colori, luce. Il primo gradiente dal rosso al verde dà l’impressione di un cilindro. La texture con la trama che diventa sempre più piccola viene percepita come se si allontanasse. La percezione del gradiente contribuisce all’illusione prospettica, lineare se le forme si riducono in base a linee che convergono verso l’orizzonte, aerea se i colori sono sempre più chiari e meno saturi e danno la sensazione della lontananza per la differente quantità di aria che c’è fra le cose più vicine e quelle più lontane.
Forme forti: forme molto riconoscibili come triangoli, quadrati, cerchi, croci, frecce, simmetrie, struttura del volto e del corpo umano.
Forme deboli: tutta la varietà di forme irregolari, complesse, dalle nuvole ai capelli, o poco nitide.
Forme aperte: forme che si aprono verso l’esterno, come un fiore che sboccia, o una mano che saluta, che dà o che prende.
Forme chiuse: forme racchiuse nel loro involucro e separate dall’ambiente, come il bocciolo di un fiore, o una mano chiusa a pugno per tenere o per colpire.
La testa umana ha una forma chiusa dietro, per proteggere il cervello, e aperta davanti, per comunicare. Il molti casi apertura o chiusura delle forme corrisponde a funzioni di relazione o di difesa.
Pattern: è uno schema, una struttura che sostiene e organizza gli elementi di un’immagine. E’ gerarchico se un elemento prevale su tutti gli altri, atonale se nessun elemento prevale, come in una texture. Ulteriori pattern possono essere a piramide, ad albero, a stella, a rete.
Nitidezza: la percezione di nitidezza dipende dalla quantità di informazioni visive all’interno della figura (risolvenza) e dall’acutezza dei contorni, ossia del profilo di contatto tra figura e sfondo (acutanza). In una immagine basta un solo elemento nitido per assumere il ruolo di figura di fronte a tutti gli altri elementi non nitidi che assumono il ruolo di sfondo. Questo avviene perché rivolgiamo la visione centrale, più nitida di quella laterale, verso il punto o la figura che più ci interessano se osserviamo la realtà, verso il punto più nitido se guardiamo un’immagine.
Tutte queste caratteristiche percettive si presentano raramente da sole, più spesso si combinano in base alla complessità dell’esperienza percettiva in cui siamo coinvolti. La visione di un campo di papaveri per esempio contiene la persistenza delle forme e dei colori (i papaveri rossi), la texture col gradiente che si riduce, la prospettiva aerea con i colori che sbiadiscono allontanandosi, il fiore in primo piano che fa da figura e tutto il resto che fa da sfondo, il pattern gerarchico col grande fiore che predomina, il pattern atonale con tutti gli altri papaveri. A tutto questo si aggiunge lo stato emotivo che predispone alla curiosità e alla scoperta, o alla paura e alla fuga, o all’aggressività, o alla placida contemplazione.