Illusioni prospettiche e spaziali
Gli artifici usati dai creatori e produttori di immagini per rappresentare su una superficie bidimensionale una realtà tridimensionale portano sia ad illusioni spaziali realistiche, sia a vere e proprie illusioni ottiche. E ci dimostrano che lo spazio percepito non è nell’immagine che ci sta davanti, ma solo nella nostra immaginazione, condizionata da ciò che sappiamo e da ciò che vorremmo sapere.
La rappresentazione della terza dimensione è stata affrontata con vari espedienti e convenzioni dagli artisti del passato, ma hanno trovato un criterio unico dal Rinascimento in poi con l’uso della prospettiva, insieme di proiezioni geometriche ottenute congiungendo i punti di un oggetto reale con un punto di vista e con un piano. Leonardo da Vinci aveva descritto nel 1515 una scatola con un foro e una lente che proiettava su una parete l’immagine rovesciata di ciò che si trovava di fronte alla lente. Questa fu poi chiamata camera oscura da Giovanni Keplero che ne parlò in un suo trattato. Nel 1568 Giovanbattista della Porta descrisse una camera oscura come strumento per disegnare prospettive usato da molti pittori fra cui famosi paesaggisti come Canaletto e Bellotto.
Gli studiosi di ottica medievali col termine perspectiva intendevano la percezione visiva stessa, e la pratica di misurare distanze e dimensioni di oggetti non raggiungibili. Tuttavia i pittori medievali non erano interessati a rappresentare lo spazio e gli ambienti in modo realistico, fino a Giotto e ad Ambrogio Lorenzetti che nei primi del XIV sec. cominciano ad usare linee convergenti per suggerire la profondità degli ambienti.
Ma furono gli artisti rinascimentali, dagli architetti Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi ai pittori Masaccio e Melozzo da Forlì, ad usare la prospettiva e a teorizzarla con gli scritti dell’Alberti, di Piero della Francesca e di Leonardo. La prospettiva non era solo un modo di rappresentare lo spazio, ma anche un’affermazione filosofica dell’uomo come centro di osservazione e di conoscenza del mondo.
La camera oscura descritta da Leonardo per dimostrare la natura puntiforme della luce consiste in una camera oscurata con un foro stenopeico e una lente attraverso cui ciò che sta fuori viene proiettato capovolto sulla parete opposta.
La scatola con foro stenopeico (che in greco vuol dire stretto) è alla base delle ricerche che portarono all’invenzione di macchine fotografiche e cinematografiche.
Albrecht Dürer, Disegno di una donna coricata, 1525.
Dürer mostra il modo di usare la proiezione per disegnare, traguardando il soggetto da un punto fisso attraverso lo schermo traslucido quadrettato e riportando le forme sui corrispondenti quadretti del foglio da disegno.
La rappresentazione spaziale si basa su quattro elementi fondamentali:
- convergenza di linee: tutte le linee convergono verso un punto che corrisponde al punto di vista dell’autore e del fruitore nella prospettiva centrale o, nelle prospettive laterali, verso punti di fuga collocati sulla linea di orizzonte, che coincide con la linea mediana degli occhi di chi ha creato l’immagine;
- riduzione delle proporzioni: man mano che ci si allontana, gli oggetti diventano più piccoli;
- prospettiva aerea: gli oggetti lontani, per effetto della densità dell’aria, appaiono con colori più freddi, meno saturi e più chiari;
- gradiente: tutte queste modifiche avvengono in modo graduale e proporzionale alla distanza.
La combinazione dei quattro elementi permette sia di ottenere effetti prospettici di corretta illusione spaziale, sia di ottenere illusioni improbabili, sconcertanti, ingannevoli. Poiché “vediamo” uno spazio tridimensionale su un foglio o uno schermo bidimensionale, si tratta comunque di un’illusione. Nella maggior parte dei casi è un’illusione coerente con le nostre esperienze reali, come nelle normali fotografie di edifici, vedute, interni, ma in qualche caso è contraddittorio o spiazzante rispetto all’esperienza comune, e ci sorprende.
La convergenza delle linee e la riduzione delle dimensioni si vedono chiaramente in questa foto della Terrazza Mascagni di Livorno, un soggetto molto fotografato da fotografi amatoriali e fanatici del bianco/nero, per i giochi prospettici della scacchiera esaltati dal grandangolo e dall’orizzonte bene allineato.
Le installazioni artistiche di Peter Kogler si basano su reticoli deformati che rivestono l’intero ambiente in cui sia il visitatore, sia chi guarda le foto, risolve la contraddizione fra la regolarità dei reticoli e le deformazioni topologiche pensando che siano le pareti a gonfiarsi e ondeggiare, e quindi a vedere quello che non c’è. Le deformazioni sono particolarmente destabilizzanti sul pavimento, che è sempre fisicamente solido da sostenere il visitatore, ma percettivamente appare fluido e poco consistente, tanto da far venire un capogiro.
La prospettiva aerea, già usata da Leonardo, è molto sentita dagli impressionisti che amano cogliere proprio i mutevoli colori delle vedute in plen air. Paul Cezanne ha dipinto più volte la montagna della bassa Provenza, che in questo Montagne Sainte-Victoire et viaduc sur la vallée de l’Arc, dipinto dal 1882 al 1885, si vede sullo sfondo, con i colori chiari, desaturati e delicati della lontananza, che diventano più brillanti, saturi e contrastati man mano che ci si avvicina, fino agli alberi in primo piano.
Se per la prospettiva aerea i colori cambiano man mano che ci si allontana,oggetti e zone dello stesso colore appaiono sullo stesso piano, anche se sono su piani diversi. Lo dimostra Lucid Stead, installazione dell’artista americano Phillip K. Smith III, realizzata nel 2013 nel deserto della California, rivestendo con fasce di specchi una vecchia baracca di legno preesistente. Gli specchi assumono gli stessi colori dell’ambiente circostante, per cui le pareti della casa sembrano tagliate a fette e sospese, con un singolare effetto di straniamento.
Il celebre controluce del Mount Williamson, King’s Canyon National Park, Sierra Nevada, ripreso da Ansel Adams nel 1944 con la sua fotocamera di grande formato con diaframma strettissimo per ottenere la massima nitidezza dal primo piano fino ai monti nel fondo e alle nuvole, riduce al minimo l’effetto di schiarimento della prospettiva aerea, ma la grandiosità dello spazio è affidata al gradiente di riduzione dei massi che popolano la pianura.
Questa foto mi fece una enorme impressione quando la vidi da ragazzo in un ingrandimento che prendeva tutta la parete all’entrata della mostra The Family of Man realizzata da Edward Steichen nel 1955 al MOMA di New York e poi andata in giro per tutto il mondo come grande messaggio di pace e fratellanza fra i popoli, pochi anni dopo la fine della II Guerra Mondiale.
Il gradiente è una graduale trasformazione di linee, colori, luminosità, dimensioni.
L’immagine op in alto a sinistra è l’originale di partenza, che solo col bianco e nero dà l’idea della curvatura convessa dei sei settori che convergono verso il centro. In alto a destra la stessa immagine con i bianchi e neri invertiti e il bianco colorato in giallo, dove l’effetto di curvatura è concavo perché le zone di contatto fra un settore e l’altro sono più luminose e vengono in avanti. Nelle due immagini vediamo solo un gradiente di riduzione delle dimensioni, a cui nell’immagine grande in basso si aggiunge un gradiente di colore e di luminosità, accentuando l’effetto di convessità dell’immagine in bianco e nero.
Il gradiente di riduzione, insieme con la curvatura delle linee, genera illusioni visive di superfici che si incurvano, vanno avanti o indietro, creano buchi e percorsi dove le linee più larghe tendono a venire in avanti, quelle più strette ad andare indietro.
A queste immagini mancano i gradienti di colore e di luminosità che invece vediamo nella realtà e nelle immagini realistiche. Tuttavia le sensazioni di profondità tridimensionale ci mostrano l’efficacia dei gradienti anche in queste situazioni molto semplificate.
Escher nell’incisione Concavo e convesso del 1955 non usa la prospettiva, ma l’assonometria, una prospettiva ideale in cui il punto di vista è all’infinito, e le parallele restano tali senza convergere verso punti di fuga, L’assonometria è una rappresentazione di oggetti tridimensionali usata per disegni tecnici, non per immagini che vogliono rappresentare la realtà. Escher la usa perché in questo caso non gli interessa l’illusione spaziale generale, ma solo l’ambiguità percettiva fra concavo e convesso, ottenuta con una illuminazione paradossale che a volte viene da destra, a volte da sinistra, costringendo occhio e cervello a continui salti percettivi di ciò che è concavo e di ciò che è convesso, di ciò che va guardato da sopra e ciò che va guardato da sotto.
Nell’immagine di sinistra vediamo una elaborazione del triangolo di Penrose, la famosa figura impossibile resa ancor più sconcertante dall’omino che suggerisce un punto di vista. Spostando lo sguardo da sinistra verso destra si rimane disorientati, perché quello che sta sopra diventa quello che sta sotto.
L’idea è ripresa dal fotografo svedese Eric Johansson nell’immagine di destra intitolata Segui il percorso, del 2021. In questo caso la percezione paradossale avviene spostando lo sguardo dall’alto verso il basso.
Con la foto Vertigini del 2022, a sinistra, Johansson applica il paradosso visivo di Penrose ad una scala a pioli fuori misura che si erge su un paesaggio sorvolato da un aereo bianco.
Con Secondo attico del 2021 Johansson riprende i paradossi alto/basso di Reutersvärd e di Escher.
Le foto di Johansson sono ottenute con manipolazioni computerizzate di riprese fotografiche di elementi trovati o costruiti appositamente per il progetto da realizzare.
Gli obiettivi fotografici sono costruiti in modo da proiettare sull’area sensibile un’immagine prospettica con angoli di convergenza che dipendono dalla lunghezza focale, da cui dipende la distanza del punto di ripresa.
L’immagine mostra tre riprese fatte dallo stesso punto con i tre obiettivi di uno smartphone di ultima generazione, da sinistra a destra un grandangolo, un normale e un teleobiettivo. L’effetto generale è di una forte deformazione prospettica col grandangolo, e di un appiattimento col tele. In realtà l’angolo di convergenza delle linee è sempre lo stesso, varia soltanto l’inquadratura, che col tele corrisponde ad una piccola porzione centrale della foto fatta col grandangolo.