Nitidezza
La nitidezza ha il doppio significato di chiarezza (clarity) e di precisione, nettezza (sharpness). Il primo significato si riferisce alla nitidezza del cielo sereno, di un vetro pulito, di un’idea, dello stile artistico e letterario, di un suono o della voce, che vengono percepiti nella loro purezza, senza sporcature, disturbi o rumori. Il secondo si riferisce alla precisione di particolari e contorni di ciò che si vede, nella realtà quando le forme non sono disturbate da fumi, nebbie, polveri, oppure nei dipinti, nelle fotografie, nelle proiezioni filmiche che presentano contorni netti e ricchezza di particolari anche minimi.
I nostri occhi vedono con nitidezza nella parte centrale del campo visivo, mentre le parti periferiche sono più sensibili al movimento. La nostra testa si muove in tutte le direzioni in modo da dirigere la visione centrale verso ciò che ci interessa e che vogliamo vedere con maggiore nitidezza. Il nostro interesse ci aiuta a distinguere le figure dal fondo, e preferiamo figure nitide, ossia ricche di informazione e dai contorni che ben le distinguono dal fondo.
La percezione di nitidezza risponde alle qualità di acutanza e risolvenza. La risolvenza è la quantità e la dimensione minima di particolari che riusciamo a percepire, e si misura con il numero di linee bianche e nere o di punti che una immagine contiene e che riusciamo a percepire entro una piccola superficie. L’acutanza è la precisione dei contorni, e si misura con il livello di arrotondamento delle punte di angoli e cuspidi.
L’acutanza è la nettezza dei contorni che facilita la distinzione delle figure dallo sfondo, ed è tanto più accentuata quanto più sono minuti i vertici delle forme appuntite, come è il caso delle punte dell’aloe. Nella foto di destra si vede la differenza tra una forma acuta nitida e una forma simile ma sfocata, in cui le punte acute non si vedono più perché la sfocatura tende ad arrotondarle.
La risolvenza è la quantità di particolari che è possibile distinguere all’interno di una forma. L’aloe dell’esempio precedente ha un’ottima acutanza ma una scarsa risolvenza, perché la superficie liscia delle foglie non mostra particolari. La fetta di pane integrale ha scarsa acutanza, avendo un contorno tondeggiante, ma una forte risolvenza, accentuata dalla luce radente e contrastata del particolare a destra.
La percezione massima di nitidezza si ottiene da soggetti con contorni netti ed articolati e con una superficie ben texturizzata, come si vede con la differenza fra le castagne sbucciate lisce e tondeggianti e quelle con la buccia irta di punte.
Il sistema occhio/cervello mette a fuoco le cose che lo interessano. Il processo è più evidente nella ripresa foto/cinematografica, dove la messa a fuoco coincide con i vertici dei coni di diffusione. In una immagine fotografica la zona messa a fuoco, e dunque quella con maggiore nitidezza, corrisponde con la zona che il fotografo ha ritenuto più interessante, e che rappresenta il soggetto della foto. In tal senso in genere é quello che sta in primo piano e al centro dell’immagine.
Irving Penn ha fatto questo mirabile ritratto di Pablo Picasso nel 1957, mettendo a fuoco il piano dell’occhio, che è inquadrato al centro dell’immagine e contiene anche la bocca, e lasciando in leggero fuori fuoco tutto il resto. L’insieme della foto sembra nitidissimo per la sottigliezza e ricchezza di particolari dell’occhio, che per un pittore è il centro di interesse, accentuando i contrasti con una illuminazione dura e radente e col mistero delle ombre nere intense e non rischiarate da nessun riflesso.
Se qualche elemento in primo piano è fuori fuoco, agisce come un disturbo percettivo perché significa che il soggetto interessante non è esso, ma tutto ciò che sta dietro, come si vede nelle due foto a sinistra (la foto alta è disturbata, la bassa è corretta). Se invece gli elementi in primo piano si trovano ai lati dell’immagine, la sfocatura non disturba, ma invita a passare oltre e a guardare la parte a fuoco, con effetto di quinta, simile alle quinte teatrali, come per le foto a destra (nella foto in alto il fiore in primo piano è il soggetto, nella foto bassa fa da quinta verso i fiori di dietro che sono il soggetto della foto).
La nitidezza di un’immagine, insieme con il criterio di messa a fuoco adottato, è dunque una guida alla percezione verso le figure più significative da individuare e distinguere dallo sfondo, che può essere più o meno sfocato. Se una foto è tutta fuori fuoco è sbagliata perché significa che l’autore non ha ritenuto nessuna parte di essa interessante, e quindi la foto non ha ragion d’essere, come è il caso della foto di sinistra. Basta però una sola parte nitida per dare senso alla foto, perché significa che quello è il soggetto della foto, come nella foto a destra.
La nitidezza dipende dalla distanza. La quantità di informazione visiva si riduce con la lontananza, a causa della riduzione dei pattern fino a che non si distinguonno più, e della densità atmosferica, accentuata da nebbie e fumi.
La profondità di campo è l’ampiezza della zona del soggetto da riprendere che viene nitida, e dipende dalla lunghezza focale dell’obiettivo, dall’apertura del diaframma, dalla distanza del soggetto e dal punto di messa a fuoco.
Nella foto di sinistra la messa a fuoco è sulle noci centrali, con effetto di compromesso fra le prime e le ultime noci. Nella foto di centro la messa a fuoco è sulla prima noce, con le ultime sfocate. La foto di destra preesenta tutte le noci a fuoco perché si è usato un diaframma più stretto.
Secondo il principio di Scheimpflug (un ufficiale e fotografo austriaco dei primi del ‘900) per mettere a fuoco tutta la foto i piani focali dell’obiettivo, del soggetto e dell’immagine si incontrano su una stessa retta. Nella situazione a sono paralleli, e tutta l’immagine è a fuoco perché i piani si incontrano all’infinito. Nella situazione b i piani dell’immagine e dell’obiettivo sono paralleli, quello del soggetto è inclinato, quidi la messa a fuoco è parziale. Nella situazione c anche i piani dell’immagine e dell’obiettivo sono inclinati in modo da convergere lungo una retta che passa per l’obiettivo, e tutta l’immagine è di nuovo a fuoco.
Le inclinazioni sono possibili con fotocamere a banco ottico o obiettivi decentrabili e inclinabili, non con i normali smartphone e reflex, e si usano in foto di arredamento, foto industrirali e still life dove è richiesta la nitidezza di tutto il campo.
Ansel Adams ha fatto questa foto del Jackson Lake nel Parco del grand Teton, Wyoming, nel 1942, usando una combinazione fra diaframma stretto e principio di Scheimpflug con fotocamera a banco ottico di grande formato per ottenere il massimo di nitidezza e di profondità di campo, dal primo piano fino all’orizzonte.
Ansel Adams e Edward Weston sono tra i fondatori del Gruppo f.64 che sosteneva una fotografia realistica contro la fotografia pittorica, da ottenere con la chiusura massima del diaframma (f.64, appunto) degli obiettivi delle grandi macchine a banco ottico per ottenere la massima nitidezza con stampe di altissima qualità.
La foto in alto è una delle numerose foto delle spettacolari conformazioni di arenaria del Paria Canyon fra Utah e Arizona del 1942, col forte grafismo degli strati geologici accentuato dalla nitidezza dal primo piano all’infinito.
Altrettanta monumentalità riesce a ottenere Edward Weston con la sua celebre foglia di cavolo del 1931, dove la messa a fuoco critica della ripresa a distanza ravvicinata è risolta con la chiusura del diaframma e con una sapiente illuminazione che mette in risalto la risolvenza della superficie della foglia.
Nel valutare la mancanza di nitidezza di una foto occorre distinguere tra sfocato e mosso. Nello sfocato i punti diventano piccoli cerchi detti cerchi di confusione, nel mosso i punti diventano piccoli segmenti o striature. Le due foto notturne di luci di città mostrano in modo macroscopico i cerchi e le linee di confusione con la foto in alto volutamente sfocata per trasformare i punti di luce in dischi luminosi, la foto in basso eseguita con la macchina in mano e un tempo lungo di esposizione per ottenere le striature delle luci.
Una illuminazione dura e un alto contrasto contro un fondo neutro valorizzano acutanza e risolvenza aumentando la percezione di nitidezza, come si vede in queste bellissime foto che Irving Penn ha fatto a Miles Davis nel 1986. La mano compie il movimento di abbassare un pistone della tromba, il volto esprime tutta la concentrazione dello stile essenziale e sintetico del grande jazzman.
Bert Stern fece un ampio servizio fotografico a Marilyn Monroe per Vogue nel 1962, passato alla storia della fotografia come The last sitting perché poco tempo dopo l’attrice venne trovata morta. In queste foto a Stern non interessa la nitidezza per descrivere minuziosamente l’aspetto esteriore della diva, ma vuole coglierne qualcosa di misterioso e di inespresso, forse la vita stessa che sta per sfuggire. Adotta quindi una chiave alta, riduce il contrasto ed evoca appena le forme, nascondendole e scoprendole in un gioco di seduzione e in un presagio di quanto tutto ciò sia effimero. Anche se tecnicamente le foto sono nitide, l’impressione che se ne ha è di atmosfere impalpabili e soffuse fatte di sola luce.
Se la maggior parte dei fotografi cerca di fare foto le più nitide possibili, alcuni di essi giocano sulla sfocatura a fini espressivi, per suggerire invece di mostrare, in modo che lo spettatore possa completare ciò che vede con ciò che immagina, come ricordi che vengano ripescati a fatica dalla memoria.
Alexei Vasiliev, fotografo russo che vive e lavora in Francia, è l’autore di questo Studio 37-43.
Altri invece, sulla scia delle ricerche di Ernst Haas, giocano con il mosso, come Giacomo Bucci in questa foto del 2018, che con il suo fotodinamismo vuole rendere la confusione di forme, colori e suoni di un momento di traffico urbano.
Altri ancora creano giochi di trasparenze e di immagini al tempo stesso rivelate e negate, come questa Snow di Saul Leiter che rende le atmosfere di New York attraverso la vetrina appannata dall’umidità della giornata di pioggia. La foto è nitidissima, ma l’impressione che se ne ha è di forme e colori che si sciolgono nella pioggia. Tutto questo per dire che la nitidezza, come qualsiasi altro espediente tecnico, è sempre in funzione di ciò che da un lato si esprime, dall’altro si percepisce, ed è una combinazione di requisiti tecnici e di sensazioni psichiche.
Oggi, con i potenti smartphone dotati di tre obiettivi, con le reflex che fanno foto e video ad alta risoluzione, à pressoché impossibile fare foto sfocate, grazie agli automatismi che provvedono a mettere a fuoco e a regolare l’esposizione. Può capitare invece che le foto siano un po’ mosse, o che la messa a fuoco sia stata fatta su un soggetto diverso da quello desiderato. Per evitare questi inconvenienti bisogna guardare bene quello che stiamo inquadrando, e nei dispositivi con touch screen toccare i punti che vogliamo siano a fuoco, per accertarci che vengano nitidi. Se facciamo la ripresa con luce scarsa dobbiamo cercare di tenere il nostro dispositivo il più fermo possibile, appoggiandolo su un tavolo o montandolo su uno stativo.
Nella fotografia digitale si può intervenire sulla nitidezza in postproduzione, con effetti di sfocatura gaussiana pr aumentare la sfocatura di uno sfondo, per esempio, o con maschere di contrasto per aumentare l’acutanza di qualche particolare. E’ imposssibile invece far diventare nitida una foto sfocata o mossa, anche se cominciano a rendersi disponibili programmi di intelligenza artificiale che interpolano i dati mancanti e possono ricostruire zone poco nitide.
Finora abbiamo considerato i problemi della nitidezza tenendo conto principalmente della fotografia, ma i fattori che determinano la percezione di nitidezza – precisione dei contorni, ricchezza dei particolari all’interno delle forme, chiara distinzione tra figura e sfondo, messa a fuoco sul soggetto principale dell’immagine, valorizzazione delle texture delle superfici – si ritrovano in tutta la comunicazione e l’espressione visiva, dalla pittura alla scultura, dall’architettura all’illustrazione, dalle immagini prodotte a mano a quelle generate dall’intelligenza artificiale.
Come esempio di pittura nitida mi pîace mostrare questo particolare della Madonna della Candeletta, dipinta da Carlo Crivelli nel 1492. Tutta la pittura del Crivelli è estremamente nitida, dall’acutezza dei contorni alla precisione dei particolari più minuti. Il Crivelli amava firmare i suoi quadri come aurifex, orefice, a sottolineare che per lui oreficeria e pittura erano ambedue attività di altissimo artigianato e raffinatissimo mestiere.
Crivellli dipinge a tempera con velature applicate con lentezza e diligenza, pennelli morbidi e sottili, e usa colori e impasti tecnici di altissima qualità per cui le sue opere si conservano con tutto il loro splendore di forme e di colori.
Come esempio di pittura non nitida ho scelta queste Ninfee che Claude Monet dipinse dal 1916 al 1919, pochi anni prima di morire. Negli ultimi anni Monet aveva problemi di vista e faceva grandi quadri con grossi pennelli e altrettanto larghe e rapide pennellate. Tutti gli impressionisti hanno scelto di sacrificare la nitidezza per ottenere atmosfere e sensazioni di luce colte dipingendo all’aperto o nelle strade cittadine, fin dalla Impression, soleil levant che lo stesso Monet dipinse nel 1872 e da cui prese nome il movimento pittorico di cui è stato esponente di punta.
Agostino di Duccio ha scolpito questo nitidissimo bassorilievo dei Putti danzanti intorno al 1450 come una delle decorazioni del Tempio Malatestiano di Rimini. Lo scultore aveva appreso da Donatello la tecnica dello stiacciato, bassorilievo di ridottissimo spessore che si affida alla precisione dei contorni e dei particolari per ottenere gli effetti di volume nonostante la forte limitazione degli spessori.
Medardo Rosso ha modellato in gesso e cera questa Dama con veletta nel 1895, realizzando una scultura non nitida per figure che si stemperano e affondano nell’atmosfera circostante, in forme aperte e fluttuanti che intendono superare la materia in una scultura impressionista che si sviluppa prima a Milano, poi a Parigi in contemporanea con i movimenti della scapigliatura milanese e dell’impressionismo parigino.