Senso e significato
Un segno, inteso come elemento significante, ha un significato condiviso dal gruppo sociale con cui comunichiamo, e un senso che noi gli attribuiamo in base al nostro punto di vista e al nostro vissuto personale e culturale.
La distinzione fra senso e significato è stata teorizzata nel 1892 dal filosofo Gottlob Frege, che si è posto il problema della differenza fra Sinn (senso) e Bedeutung (significato) partendo dalle espressioni a = a e a = b, dove la prima è sicuramente vera, ma non aggiunge nulla alle nostre conoscenze, la seconda ci dice qualcosa di più e può essere vera, ma anche falsa.
a = a consiste nel riconoscere un’entità come tale: il sole che sorge oggi è lo stesso di quello che sorgeva ieri. Il riconoscimento non aggiunge conoscenze, ma conferma le conoscenze acquisite.
a = b aggiunge qualcosa sia ad a che a b: il sole è una stella. Il sole è collocato nel contesto di tutti gli altri corpi celesti, e la conoscenza si arricchisce. Il significato è lo stesso, ma cambia il senso, perché cambia il punto di vista: il sole a è il corpo celeste predominante, visto dalla terra. il sole b è una delle miriadi di stelle che popolano l’universo.
La locuzione italiana il sole (a) in tedesco è die Sonne (b). Sia “sole” che “Sonne” hanno lo stesso significato in quanto si riferiscono allo stesso astro, anche se in modo arbitrario e convenzionale. Ma implicano visioni diverse e hanno un senso diverso, perché in italiano il nome è maschile, in tedesco è femminile. Significato e senso di b possono evolvere nel tempo. Nel sistema tolemaico il sole era il centro dell’universo, nel sistema copernicano è una delle tante stelle, per giunta di un settore periferico di una piccola costellazione come la Via Lattea.
Il grafico mostra come il segno, quando viene percepito, diventa significante in quanto gli viene attribuito un significato oggettivo e valido per più persone, e un senso soggettivo, personale, dipendente dal punto di vista dell’individuo, che produce una rappresentazione di ciò che ha percepito e compreso, una immagine mentale o un’immagine reale, sempre soggettiva. Se l’immagine viene condivisa, diventa un nuovo segno che stimola un nuovo processo significante. Tutto il processo è collegato in modo arbitrario e convenzionale con un referente materiale o ideale (la “cosa” che sta dietro parole e immagini).
Il segno è un elemento portatore di significato, utilizzato in un processo comunicativo. Può essere un fatto, un oggetto, una figura, una manifestazione, un fenomeno considerato come espressione e rappresentazione di un’altra cosa, da cui si possono trarre indizi, deduzioni, conoscenze. Può essere naturale, come una nuvola, o artificiale, come qualsiasi procedimento visuale o acustico di comunicazione del pensiero. Il segno è significante in quanto produce un significato e un senso. Il Frege chiama “nome proprio” il significante (parola, segno, complesso di segni, espressione) di cui designiamo il significato ed esprimiamo il senso.
La cosa che il segno rappresenta è il referente. Se considero come segno la parola “mela”, il referente può essere un elemento concreto e specifico come la mela Golden che sto per mangiare, oppure il concetto astratto di mela che comprende tutte le mele possibili e nessuna mela in particolare (al proposito, vedi la scala di astrazione).
Il significato è un valore di verità, nel senso che viene giudicato vero o falso. “La parola inglese apple significa mela” è vero. “La parola inglese apple significa pera” è falso. Il significato è il referente di una parola o di una frase, di una immagine, di un gesto. A meno che sia analogico o onomatopeico, è arbitrario (non c’è nessuna ragione per cui la luce rossa di un semaforo significhi “stop”) e convenzionale (tutti accettano che la luce rossa significhi “stop”) fino a quando non subentri una convenzione diversa (i cartelli stradali in Italia sono blu per le strade statali e verdi per le autostrade, in Francia sono verdi per le statali e blu per le autostrade). Il significato è denotativo (significato primario, descrittivo, letterale, vero o falso) e connotativo (significato simbolico, culturale, affettivo, emotivo, valutativo). Il significato è impersonale. Apple significa mela a prescindere da ciò che io so o penso, così come tutte le definizioni che si trovano in un dizionario. E’ proprio o figurato. La croce in senso proprio è una figura fatta da due linee o due parallelepipedi perpendicolari, in senso figurato è il simbolo della cristianità, oppure di un sacrificio pesante ma inevitabile (ognuno deve portare la sua croce).
Il senso è la capacità che animali e umani hanno di ricevere segnali e impressioni da stimoli esterni o interni, e quindi di elaborarli e trasformarli in opinioni, giudizi, reazioni, comportamenti. E’ qualcosa di personale, di soggettivo, non risponde a criteri di verità, ma di pragmaticità. Se ho una sensazione di freddo non mi importa di verificare la temperatura segnata dal termometro, mi basta cercare qualcosa per riscaldarmi. Se un consiglio mi sembra poco credibile, non ne terrò conto. Il senso indica il modo in cui osserviamo e consideriamo ciò che vediamo o ascoltiamo. Parliamo perciò di senso stretto e senso lato, imparare a memoria e a senso, senso del discorso, che apre anche all’idea di direzione: dove vuoi andate a parare? Vai in senso contrario o in senso vietato? Girare in senso orario.
Il senso si basa su significati ritenuti veri, anche se non lo sono. “Sono convinto che tu sia un mentitore, perciò ho un senso di sfiducia verso ciò che mi dici“.
Tuttavia un segno può avere significati specifici, come “la libertà di parola“, o generici come “la libertà“, che possono essere riempiti con molteplici significati, per la gioia di demagoghi incantatori delle folle.
Senso e significato possono agire in modo dissociato. “Ha capito il significato di parole e frasi, ma gli sfugge il senso del discorso”. “Ho colto il senso di ciò che vuoi dire, ma non capisco il significato delle parole specialistiche che hai usato”.
Tra significato e senso non c’è una barriera invalicabile. Il senso è il significato di un’unità linguistica attualizzato in un’enunciazione.
– Quell’attore è un cane.
– In che senso?
– Nel senso che recita male.
– Male come?
– Come se abbaiasse.
Il significato della parola “cane” oscilla fra senso letterale e metaforico, fra denotato e connotato.
Il denotato è il significato letterale di una parola, di una frase, di un’immagine, il primo significato che leggiamo nel lemma di un dizionario. Il connotato è un significato più ampio, o più contestualizzato, o relativo alla propria cultura ed esperienza, o al proprio stato emotivo, e dal significato sconfina nel senso. Per esempio, la parola “cane” denota il quadrupede appartenente alla specie dei canidi. Ma connota un modo deteriore di essere e fare nelle locuzioni “vita da cani“, “canta come un cane“, “solo come un cane” “cane bastonato“. O un modo migliorativo con “fedele come un cane“. La connotazione porta anche ad altri significati, come il cane della pistola o il cane della costellazione omonima. Naturalmente, il concetto di denotazione e connotazione è relativo all’enunciato in cui la parola o la frase compaiono. Per esempio “cane da guardia“, che è già un connotato del cane in genere, a sua volta ha come denotato un cane adibito alla sorveglianza, come connotato la metafora di un severo controllore dell’operato altrui.
Significati e sensi interpretativi diversi si trovano in abbondanza nelle opere artistiche e letterarie, e ne costituiscono il fascino. La Divina Commedia di Dante, per esempio, è un poema allegorico che va letto e interpretato secondo quattro livelli di senso:
senso letterale: il significato immediato del testo che non va oltre a ciò che indica la parola;
senso allegorico: quello che si nasconde sotto le parole;
senso morale: l’insegnamento che il lettore deve ricavare per la sua edificazione;
senso anagogico: il significato spirituale.
Insieme con la decodifica del significato e l’attribuzione di senso, se ne forma una rappresentazione, un’immagine mentale che va da un pattern visivo come la croce, la piramide, il cerchio, fino alla visione dettagliata della scena, come se fosse una fotografia o una illustrazione che possono far seguito alla rappresentazione stessa. Se senso e significato contribuiscono alla creazione dell’immagine mentale, questa a sua volta può contribuire a dare senso a ciò che si vede, si legge o si ascolta. Vedere e capire sono due facce della stessa medaglia, come testimonia la radice indoeuropea ID, da cui deriva sia “vedo”, sia “idea”. Anche la rappresentazione è soggettiva e personale, giacché lo stesso significato e lo stesso senso possono dare luogo a rappresentazioni diverse da individuo a individuo.
La visualizzazione di concetti complessi è un potente riduttore di complessità in ambito spirituale, filosofico, scientifico, tecnico. Il simbolo del Tao, per esempio, ci fa comprendere come non esista il bianco da una parte e il nero dall’altra, ma che il bianco, lo yang, il lato il luce, nasce dal nero dello yin, del lato in ombra, e nel nero va a finire, e viceversa. Le due forme sono perfettamente equilibrate e complementari, a costituire la completa circolarità del Tutto.
Il costruttivismo parla di realtà di primo e secondo ordine. La prima è ciò che si sperimenta direttamente mediante i cinque sensi, la seconda è quella descritta, raccontata, raffigurata, interpretata attraverso i cinque sensi. Il sole che mi riscalda e mi abbronza fa parte della realtà di primo ordine, che non posso conoscere se non attraverso ciò che riesco a vedere con gli occhi e sentire con la pelle. Il sole descritto dagli scienziati, raccontato dai romanzieri, o semplicemente nominato da chi dice “Oh, che bel sole!” fa parte della realtà di secondo ordine, di cui Watzlawick dice che esistono tante realtà quante se ne possono concepire.
E tutto ciò ci porta al discorso diretto e indiretto. Frege sostiene che senso e significato hanno un valore diverso a seconda che il discorso sia diretto o indiretto.
“Hai fatto uscire il gatto?“
La domanda ha senso se non vedo il gatto, e significa che non so se è stato fatto uscire.
“Il gatto è uscito“.
La risposta è una testimonianza diretta di chi sa che il gatto è uscito. Il significato della risposta mi informa che il gatto è uscito, ma il senso, grazie al tono di voce e ai segnali non verbali, mi avverte che potrebbe essere una bugia.
“Ho chiesto a mia figlia di far uscire il gatto. Mi ha risposto che l’ha fatto uscire“. Il significato delle proposizioni principali mi dice che ho fatto una domanda e ho ricevuto una risposta, ma non dà nessuna garanzia sulla veridicità delle proposizioni subordinate. Potrebbe non essere vero che ho chiesto se il gatto era uscito (io mentirei), o che mia figlia abbia fatto uscire il gatto (lei mentirebbe). “Ho chiesto” e “mi ha risposto” sono il resoconto di una esperienza diretta. “Di far uscire” e “l’ha fatto uscire” sono il resoconto di un sentito dire. E nella testimonianza ad un processo penale questo fa una bella differenza! Inoltre la frase che io riferisco come detta da mia figlia non è il significato intrinseco (il gatto è uscito) ma il senso della frase che io ho capito (ho la sensazione che abbia detto che il gatto è uscito, anche se non so se l’ha fatto uscire lei e se il gatto sia veramente uscito).
Senso e significato giuocano un ruolo strategico nella traduzione da una lingua all’altra. La traduzione deve essere una fedele trasposizione di parole e frasi corrispondenti da una lingua all’altra, o si deve rendere il senso del discorso? Nella traduzione si privilegia il significato o il senso? Le traduzioni tecnico-scientifiche dervono attenersi il più possibile al significato, le traduzioni letterarie possono rendere il senso con le locuzioni proprie della lingua in cui traducono. La cosa è evidente soprattutto nei modi di dire, dove non conta tanto il significato delle parole, quanto il senso della frase, che resta lo stesso da una lingua all’altra anche se le parole cambiano. Per esempio il francese “c’est une autre marmite de poisson” significa “c’è un’altra pentola di pesce” ma è usato col senso del nostro “è un altro paio di maniche”, o il “can che dorme” diventa un gatto (ne réveillez pas le chat qui dort), l’alzarsi tardi è una grasse matinée, la pelle d’oca è carne di pollo (chair de poule).
Il significato infatti è una categoria linguistica, perciò i significati delle unità delle varie lingue possono non coincidere per vari parametri (descrizioni contenutistiche, volume e posto nel sistema). Il senso invece è una categoria della comunicazione, non dipende dalle differenze tra le lingue e può essere espresso mediante mezzi linguistici diversi nelle diverse lingue.
Interpretare un testo dunque consiste nel capire significati e senso nella lingua in cui è scritto, considerando il contesto culturale di quella lingua. Tradurre un testo invece, partendo dall’interpretazione del testo originario, significa cercare significati corrispondenti nella lingua del testo tradotto, adattando il senso al contesto culturale della nuova lingua. Più le due culture sono distanti, più ci sono discrepanze fra significato linguistico e senso culturale.
Nel triangolo semiotico significante, significato e referente sono legati fra loro da un codice fatto di convenzioni linguistiche o espressive. Chi emette un messaggio codifica il referente (ciò che vuole dire) in un significante (un insieme di segni) che significa quel referente. Chi riceve decodifica il messaggio usando un codice il più possibile simile a quello dell’emittente, per rappresentarsi un referente altrettanto simile. Il diverso uso dei codici porta ad una codifica aberrante, come i falsi amici italiano-francesi, dove per esempio il francese salir è l’italiano sporcare, la ville è la città, i confetti sono i coriandoli, le courbatures non sono curve pericolose, ma altrettanto pericolosi dolori muscolari.
La codifica corretta porta ad un corretta comprensione del senso, da cui deriva l’accordo o il disaccordo col messaggio ricevuto, e cioè il consenso (la vediamo nello stesso senso) o il dissenso (ho capito quello che dici, ma non sono d’accordo con te).
E infine, dopo tanto senso, un po’ di nonsenso. Il nonsenso è qualcosa di assurdo, di paradossale, che contraddice buon senso e senso comune, creando cortociruiti mentali. E’ ampiamente usato in letteratura, teatro, cinema, con nomi illustri come Rodari, Maraini, Bergonzoni. A volte la vita stessa appare priva di senso, come canta Vasco Rossi nella canzone “Un senso“. E’ un ingrdiente umoristico, come la famosa supercazzola dal film Amici miei di Monicelli (1975).
Il nonsense, detto anche limerick, è invece un ben preciso genere letterario, una poesia di pochissimi versi con accostamenti improbabili di parole e rime. Eccone un delizioso esempio scritto da mio padre:
Poche foche,
fiacche e fioche,
fan le cuoche
all’oche roche.
L'immagine
Tutto ciò che è stato detto finora è applicabile alle immagini, siano esse fisse o in movimento. Vediamone un esempio nell’analisi del “Bacio di Giuda” di Giotto.
La prima lettura ci mostra al centro un uomo avvolto in un mantello giallo che abbraccia e bacia un altro uomo barbuto con un disco dorato dietro la testa. A sinistra un uomo in un mantello ocra brandisce un coltello con cui taglia un orecchio ad un uomo che gli volge le spalle. Davanti a lui un uomo con veste e mantellina grigie cerca di trattenerlo, a sinistra un uomo indica, e dietro di lui un ufficiane guida una squadra di uomini armati di lunghe lance e fiaccole, contro un cielo blu scuro. Un uomo che suona un corno bianco separa gli armati in due gruppi.
Questa è la lettura denotativa del dipinto. Passiamo alle letture connotative, che sviluppiamo con la nostra esperienza personale di visione dell’opera.
Se disponiamo di una guida turistica, o di una app di realtà aumentata, possiamo tentare una lettura iconologica: sappiamo che si tratta del Bacio di Giuda, uno degli affreschi dipinti da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova dal 1303 al 1305, che illustra un episodio narrato nei Vangeli di Luca e Matteo, da cui possiamo riconoscere che l’uomo in giallo è Giuda Iscariota, il bacio serve a far identificare Gesù ai soldati che devono arrestarlo, l’uomo che indica è Caifa. L’accoltellatore è San Pietro. La santità è visualizzata dai dischi dorati delle aureole.
Possiamo proseguire con una lettura stilistica, in cui il cielo e la terra sono intersecati dalle diagonali che si incontrano al centro nel punto in cui avviene il bacio. Giotto ambienta la scena ai suoi tempi, perché i vestiti non sono quelli di ebrei dell’anno 33, ma di italiani del Trecento, e si allontana dalla bidimensionalità romanica per dipingere potenti figure con ampi volumi valorizzati dal panneggio, e con realismo espressivo nei volti e nei gesti.
Un religioso ci darebbe una lettura devozionale, rileggendo i passi evangelici per trovare corrispondenze nelle immagini. Ci farebbe notare che Giuda non ha l’aureola perché col suo atto ha perduto ogni santità. Ci additerebbe il volto inquietante di Caifa, il sommo sacerdote che presiedeva il Sinedrio che condannò Gesù. Ci direbbe che San Pietro era in preda alla tentazione, e col suo gesto violento fa da contrappunto alla calma severa e affettuosa di Gesù.
Un educatore laico, al di là delle Sacre Scritture, con una lettura morale ci farebbe osservare come l’episodio sia considerato un simbolo del tradimento, al punto che il “bacio di giuda” ne è diventato un modo di dire di uso comune.
Una lettura storica infine ci porrebbe dubbi sulla figura di Giuda, sull’esiguità dei 30 denari, sul bisogno incongruo di un segnale di riconoscimento per individuare un personaggio notissimo, sui risvolti politici del popolo ebraico dominato dai Romani e sulla delusione di Giuda per un Cristo che tarda a manifestarsi come Messia Salvatore.