Il foglio bianco

La psicosi da foglio bianco scatta tutte le volte in cui ci accingiamo a fare qualcosa senza saper da che parte cominciare. L’abbiamo provata tutti a scuola, quando ci veniva data la traccia di un tema di cui sapevamo poco o nulla. La riproviamo ancora quando il foglio bianco ci guarda, ci sfida a riempirlo, ma con la sua provocatoria bianchezza non ci dice nulla sul come cominciare.

A tutto ciò si aggiunge l’importanza dell’inizio. Un grande arrangiatore americano diceva che in musica ciò che conta è un bell’inizio e un bel finale, tutto quello che c’è in mezzo è secondario. Nello scrivere, che sia un romanzo, un saggio, una pagina web, una relazione o un articolo, è importante un incipit che catturi l’attenzione e inviti a continuare.
Anche nelle arti visive la tela bianca sfida il pittore a deporre la prima pennellata, da cui dipendono tutte le altre, e il quadro compiuto sfida a decidere quando smettere di ritoccare, aggiungere ancora un particolare, attutire un tono troppo vivace.
La difficoltà di iniziare bene rende ancor più pesante la minaccia del foglio bianco. Vediamo un po’ come cominci, mio caro! Come al solito, inizierai con una delle tue banalità…

Allora, che fare?
Per prima cosa, ci basta non cominciare dall’inizio, che scriveremo solo alla fine, quando avremo ben chiaro tutto il contenuto del nostro scritto.
Poi dobbiamo riflettere su che cosa stiamo per scrivere, perché e per chi. Se scriviamo su commissione dobbiamo riprendere in mano il briefing del nostro committente. Se non ce lo abbiamo, dobbiamo richiederlo, con un incontro, una telefonata o una email. Il briefing deve rispondere alle famose cinque W: a chi ci rivolgiamo? che cosa diciamo? perché? quando? Se invece abbiamo un briefing con le risposte alle cinque W, possiamo partire proprio dalle parole chiave estratte da queste risposte, o dal testo letterale del briefing. Scriviamo le parole come primi livelli di un outline, o come rami principali di una mappa mentale. Possiamo anche scriverli ognuno su un foglietto post it che attaccheremo su un foglio più grande, una lavagna o una parete.
Poi cominciamo a sviluppare un ramo a caso e, man mano che ci vengono in mente idee sugli altri rami, le scriviamo mettendole ai loro posti. In tal modo vedremo crescere il nostro scritto seguendo il flusso stesso delle nostre idee.

Se invece non abbiamo un committente o un briefing, e scriviamo per il gusto di farlo o perché dobbiamo produrre un testo di nostra invenzione, abbiamo due vie. La prima è il freewriting, una forma di brainstorming individuale con cui scriviamo per parole chiave tutto quello che ci viene in mente, senza censure e senza troppi ragionamenti. Una parola innesca l’altra, e anche se abbiamo cominciato scarabocchiando parole banali e casuali, dopo un po’ vedremo delinearsi una rete di significati da cui si formerà il primo nucleo del nostro scritto.

La seconda è l’autocommittenza. Non avendo un committente reale, i committenti siamo noi, quindi le famose cinque domande possiamo farle a noi stessi: perché ci siamo messi a scrivere? A chi ci rivolgiamo? Qual è il nostro tema, l’argomento che vogliamo affrontare, la tesi che vogliamo sostenere? Dove ci troviamo? dove vogliamo arrivare? Le risposte che ci diamo possiamo annotarle, sempre con parole chiave, nella nostra scaletta o nella nostra mappa, e da lì continuiamo.
Un trucco ancor più minimale per vincere il timore del foglio bianco è… sporcarlo comunque, in modo che non sia più bianco! Possiamo macchiarlo, versandoci sopra un po’ di caffé, o facendo un ghirigoro con la matita, e da lì far galoppare la fantasia con associazioni e differenze di idee. Questa era una tecnica usata dai surrealisti e i poeti dada del primo novecento, che spesso partivano proprio dal caso per innescare la loro fantasia.
Se invece vogliamo stimolare la nostra fantasia per costruire storie, possiamo usare le carte creative o il poster con la mappa della fantasia.