Parole e immagini
Vedi anche visualizzazione e verbalizzazione, didascalia, descrizione, racconto per immagini
L’essere umano ha cominciato a comunicare con le immagini, come ci testimoniano le pitture rupestri e le statuette delle “veneri” steatopigie. Le immagini riproducevano, anche se in modo semplificato, ciò che si vedeva, e che poteva essere riconosciuto da altri che avessero avuto un’esperienza visiva simile: la sagoma di un bisonte o di un cervo, per esempio.
Il linguaggio iniziale si limita a indicare l’oggetto che fa da figura, rispetto al resto che fa da sfondo. I gesti e le espressioni del viso e del corpo esprimono aggressività, paura, fiducia, sottomissione. Le grida sono diverse se mettono in allarme per un pericolo o se esprimono la gioia di aver catturato una preda. Man mano queste grida e questi gesti si cristallizzano in forme ricorrenti, che poi si arricchiscono mescolandosi con migrazioni e scambi culturali e commerciali. E gradualmente queste forme cristallizzate diventano simboli, e poi parole, sillabe, lettere.
Il linguaggio verbale comunica con precisione la diversità delle cose e dei fatti, anche a distanza di tempo e di spazio. Man mano diventa autonomo di fronte alle altre forme di comunicazione, e l’arbitrarietà dei codici simbolici porta alla diversità fra le lingue, ben rappresentata dal mito della torre di Babele.
Quando ci si rende conto dell’artificiosità dei simboli linguistici, si sente il bisogno di ridurre le ambiguità di significato mostrando le immagini accanto alle parole, come accade quando si impara una lingua straniera. La stessa immagine quindi, un pezzo di pane, viene associata alle parole “pane”, “bread”, “khleb”, a seconda di come la parola viene codificata dalle lingue.
Per lungo tempo il linguaggio verbale e il visivo sono stati usati separatamente, con rare e sporadiche combinazioni di iscrizioni, cartigli, etichette.
Omero descrive a parole le decorazioni dello scudo di Achille. Pitture e sculture mostrano solo con le immagini i miti a cui si riferiscono.
Ma in alcuni casi si ricorre alla parola per specificare contenuti e significati delle immagini.
Fin dai geroglifici egiziani troviamo indicazioni sul nome del faraone o del dignitario, in alcuni vasi greci vediamo scritte con i nomi dei personaggi, e iscrizioni esplicative si trovano accanto alle immagini dei defunti in molte tombe etrusche e romane.
Nel Medio Evo troviamo iscrizioni su miniature e pitture, e le didascalie su cartigli appaiono in molti quadri fino ai tempi più recenti, con testi relativi a scritture sacre e vite di santi o con nomi e dati dei committenti.
Il Torchio mistico con gli Apostoli e i Dottori della Chiesa è una tempera su tavola di un maestro tedesco del 1470, conservata nella Dorfkirche di Retschow, in Germania. Rappresenta un torchio azionato da angeli e santi che macina cartigli con scritture per produrre il cartiglio che esce dal basso e va a depositarsi sulla testa di Gesù bambino con la scritta Et verbum caro factum est et habitavit in nobis, Giovanni 1, 14 (il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi). Il tema del torchio mistico era molto diffuso specialmente in nord Europa dal ‘300 al ‘600, in varie versioni del Cristo Pigiatore che scende dalla croce per entrare in un torchio e pigiare l’uva mista al sangue della sua Passione, da cui uscirà il vino purificatore. In questa variante è lo stesso Gesù che esce dal torchio e va nel calice come nuova presenza salvatrice. Tutte le rappresentazioni del torchio mistico, dai quadri alle miniature, contengono numerosi cartigli con iscrizioni.
Nella cultura popolare troviamo didascalie affiancate ad immagini nei tabelloni dei cantastorie siciliani, o negli ex voto con l’iscrizione del nome del miracolato e la data dell’evento. Anche le carte dei Tarocchi recano il nome della figura che rappresentano.
A metà ‘800 escono le prime riviste illustrate, che arricchiscono gli articoli con immagini incise a mano, e poi fotografiche, ognuna con la sua brava didascalia che a volte si limita ad enunciare il contenuto dell’immagine, altre volte arriva a piccoli compendi di notizie su ciò che l’immagine non può mostrare.
A sinistra la copertina di una Illustrazione Italiana del 1897 con una illustrazione corredata della seguente didascalia che ne menziona anche gli autori: “Reggio Emilia – Il centenario della bandiera tricolore – Giosué Carducci nell’atrio del palazzo municipale (Vedi Il Corriere) (Disegno di A. Beltrame, da schizzo del signor Iginio Netti.)”.
A destra una copertina del 1936, con la fotografia che sostituisce le illustrazioni fatte a mano. La didascalia è la seguente: “L’omaggio al re dei cinquantamila bersaglieri convenuti a Roma da ogni parte d’Italia per la celebrazione del primo contenario della fondazione del corpo – S. M. Vittorio Emanuele al balcone della reggia fra il maresciallo De Bono e il generale Baistrocchi contempla il superbo ammassamento delle fiamme crenisi in piazza del Quirinale”. Da notare che la didascalia aggiunge all’immagine la folla dei informandoci non su quello che vediamo noi, ma su quello che vede il re.
Dall’avvento del cinema in poi la combinazione fra parola e immagini diventa sempre più diffusa, fino ai giorni nostri che con la digitalizzazione sono diventati completamente multimediali. Oggi chiunque di noi è in grado di produrre filmati, presentazioni in slide, animazioni, dirette video, podcast, solo con il nostro smartphone, un piccolo apparecchio che portiamo sempre in tasca.
Tutte le volte in cui abbiamo bisogno di combinare parole e immagini, dobbiamo capire bene che cosa le nostre immagini non possono comunicare, che cosa le nostre parole non possono mostrare. Se una informazione essenziale manca all’immagine, vale la pena di aggiungervi qualche parola. Se la parola “grigio” non basta a far capire il punto di grigio che abbiamo in mente, è il caso di far vedere un campione di colore o un oggetto che mostri quella colorazione.
Prendiamo per esempio la foto in cui si vedono due uomini e un toro in un’arena. La foto ci fa capire che si tratta di un momento di tauromachia, ma non ci dice nulla di più. Se fosse l’illustrazione di un articolo troveremmo in questo tutte le informazioni che mancano, altrimenti sarebbe necessaria una didascalia in grado di aggiungere quelle informazioni che l’immagine non può dare, come nomi, date, misure, notizie sul soggetto e sul contesto.
La foto dunque coglie un momento della course camarguaise, una tauromachia incruenta che si svolge regolarmente nell’Arena di Arles e in altri centri della Camargue. Ecco alcuni tipi di didascalia per questa foto.
- Didascalia generica e sintetica che non aggiunge nulla all’immagine: “Tauromachia“.
- Didascalia per pubbblicazione turistica o cartolina: “Spettacolo di tori nell’Arena di Arles“
- Didascalia dettagliata: “Un momento della course camarguaise nell’Arena romana di Arles. Due sfidanti o raseteurs cercano di togliere le coccarde dalle corna del toro, e saltano oltre la staccionata rossa qundo il toro li carica. Il punteggio dipende dalle coccarde prese. Il toro è più piccolo e agile dei tori spagnoli, e ha le corna rivolte in alto e non in avanti come quelli spagnoli. Il toro non viene ferito o ucciso, e lo spettacolo è tutto nel coraggio e nell’agilità dei raseteurs che prendono le coccarde, e dei tourneurs che si agitano e corrono intorno per distrarre il toro“.
- Didascalia polemica: “Basta con gli spettacoli di animali infastiditi dall’uomo! Anche se la vita del toro viene risparmiata, la course camarguaise lo frastorna e danneggia comunque, specialmente quando tori infuriati saltano la barriera e possono ferirsi“.
- Didascalia culturale: “La course camarguaise che ogni settimana si replica nell’Arena romana di Arles riprende l’antichissimo cimento della taurocatapsia, il salto sopra il toro che giovani e ragazze cretesi facevano come testimoniato da un celebre affresco del palazzo di Cnosso“.
Come si vede, in base alle parole che le si affiancano, l’immagine assume spessori e significati diversi, e le parole hanno il potere di aggiungere notizie utili o perfino di stravolgere il significato dell’immagine e le intenzioni di chi l’ha prodotta. A tutto questo si aggiunge il contesto, il medium – articolo, manifesto, pagina web, televisione – e il contributo del fruitore, che può condividere o dissentire, guardare distrattamente o con attenzione, avere una mente critica o offuscata da pregiudizi.
Nella comunicazione web i tag sono parole chiave e metadati che hanno lo scopo di facilitare ai motori di ricerca la segnalazione della pagina a cui si riferiscono. Le pagine sono descritte con brevi testi che vengono rielaborati dai motori e compaiono nei risultati delle ricerche con brevi descrizioni automatiche dette snippet.
Una attenzione particolare va dedicata alla maniera in cui le parole vanno usate per valorizzare immagini pubblicate su pagine di siti web, allo scopo di facilitarne l’individuazione da parte dei motori di ricerca
L’ottimizzazione delle pagine web con le tecniche SEO parte dal nome del file dell’immagine che non deve essere generico, ma essere riferito al contenuto dell’immagine. Nel nostro caso quindi non lasceremo come nome del file IMG_5012, ossia la sigla numerica automatica della foto, ma “storo_magazzino_mais“, che indica di che cosa si tratta e indirizza la ricerca fatta con le parole chiave “storo“, “magazzino” e “mais“. L’ottimizzazione prosegue con il testo per l’attributo ALT. Il testo alternativo dell’immagine (o alt text), fornisce informazioni sull’immagine nel caso in cui essa non sia caricata o visualizzata correttamente dal browser, o per chi non riesca a vederla bene per handicap visivi. Nel nostro caso sarà “Veduta parziale della facciata in legno e muratura di un antico magazzino per mais a Storo in provincia di Trento, con le pannocchie di mais messe ad asciugare. Foto di Umberto Santucci“. Il titolo dell’immagine ne indica il contenuto in modo specifico, non sarà quindi “Facciata” ma “Asciugatura del mais a Storo“.
Una combinazione con parole, siano esse un articolo, un titolo o una didascalia, può cambiare decisamente il significato di un’immagine. La stessa immagine può assumere un significato positivo o negativo a seconda delle parole che si usano per descriverla o commentarla. Per un certo periodo ha girato per il web la foto di un branco di lupi con un commento didascalico utile a farne una buona metafora visiva per un corso di leadership.
Questa è la foto col suo commento che inneggia alle virtù del leader che si mette in coda per poter controllare tutto il branco, guidato da tre lupi malati. In realtà la foto é stata fatta in Canada, non in Romania, e il primo lupo non è malato, è la femmina alfa che guida il branco, quindi il significato della foto ne esce capovolto ai fini della metafora sulla leadership. Ecco la didascalia originale: “Un branco di 25 lupi caccia i bisonti al circolo polare artico nel nord del Canada, in pieno inverno, nel Wood Buffalo National Park, con temperature intorno ai -40 gradi centigradi. Il branco di lupi, guidati dalla femmina alfa, viaggia in fila indiana nella neve alta per risparmiare energia. La dimensione del branco è un segno di quanto sia ricca la loro riserva di prede durante l’inverno, quando i bisonti sono più limitati (negli spostamenti) a causa della scarsa alimentazione e della neve alta. I branchi di lupi in questo Parco Nazionale sono gli unici lupi al mondo specializzati nella caccia ai bisonti – 10 volte le loro dimensioni. Sono cresciuti fino ad essere i più grandi e potenti lupi sulla terra”.
Sempre sui social girava la foto di matite spuntate accanto ad una matita perfettamente appuntita, per visualizzare il concetto che chi fa, rischia di sporcarsi le mani e di consumare le suole delle scarpe, mentre un aspetto impeccabile può essere indice di inoperosità e infingardaggine. Io mi sono divertito a ribaltare il significato interpretando la matita appuntita come uno strumento curato ed efficiente rispetto agli altri. Anche perché le matite spuntate mi danno un fastidio fisico.