Prossemica
La prossemica fa parte della comunicazione non verbale e dell’organizzazione degli spazi in ambito progettuale e organizzativo. Studia la percezione dello spazio che c’è fra una persona e l’altra, o fra gruppi e comunità, e i comportamenti che derivano da tale percezione.
E’ nata nei primi anni ’60 ad opera dell’ antropologo Edward T. Hall che, osservando le corrispondenze fra distanza relazionale e distanza fisica fra le persone, ha distinto quattro zone nelle quali ci si sente a proprio agio in base al tipo di relazione: la distanza intima al di sotto della lunghezza del braccio, la distanza personale, fino al doppio della lunghezza del braccio, la distanza sociale, fino a tre metri e mezzo, la distanza pubblica, oltre i tre metri e mezzo. All’interno di questa struttura ci sono variazioni dovute alle etnie, alle culture, ai sessi. Due o più arabi possono stare molto vicini, due giapponesi o due norvegesi si mantengono ad una distanza superiore al braccio teso.
Se ci sentiamo troppo stretti in un luogo, o se parlando con qualcuno ci viene voglia di allontanarci un po’, stiamo vivendo un problema di prossemica. Il disagio che proviamo dipende dal fatto che ci troviamo con persone estranee a distanza troppo ravvicinata, come accade in autobus o in coda allo sportello.
Se osserviamo il comportamento delle persone in un pranzo, in una festa, in ufficio, possiamo fare attenzione al modo di vivere i rapporti spaziali: le persone si avvicinano o si allontanano fra di loro, formano gruppetti o si separano, si protendono verso l’interlocutore o se ne discostano, in base al livello sociale e culturale, alla nazionlità, alle affinità di interessi e di idee. Perfino in ascensore, possiamo notare che gli europei si dispongono tutti intorno con le spalle alle pareti, in America si mettono tutti di fronte con la faccia verso la porta.
Il nostro apparato sensoriale ha recettori di distanza, come gli occhi, le orecchie, il naso, e recettori di contatto come la pelle, le membrane, i muscoli. Per esempio, gli occhi ci avvertono se quella persona può avvicinarsi fino al punto in cui possiamo toccarci, o se è meglio tenersi a debita distanza, oltre il nostro braccio teso.
La prossemica è semiologia dello spazio, in quanto ci rivela il significato che lo spazio fra due persone assume in base ai loro comportamenti, alla loro cultura e alla loro educazione. Si interessa alla distanza fra persone, gruppi e cose, sia a livello cosciente e volontario, sia a livello inconscio e involontario.
Anche le parole comunemente usate rivelano il rapporto personale con lo spazio vitale. ‘Avanti’ indica generalmente ciò che è di faccia, ‘dietro’ ciò che è alle spalle, ‘destra’ e ‘sinistra’ ciò che si trova di fianco, ‘alto’ ciò che è sopra la testa e ‘basso’ ciò che è sotto i piedi.
Ma è anche psicologia dello spazio. Il corpo vivente non finisce con la pelle, ma si espande nello spazio fisico e virtuale in cui vive. La percezione dello spazio è soggettiva, e porta alle patologie della claustrofobia e agorafobia, intese come incapacità di vivere in uno spazio troppo stretto o troppo ampio. La prossemica aiuta quindi a far vivere meglio le persone, collocandole in spazi appropriati in base alle loro sensazionio, intenzioni, azioni e reazioni.
Una considerazione particolare va fatta sulla prossemica dei rapporti virtuali che avvengono in rete. Internet annulla distanze fisiche e mentali, ma conserva la distinzione in zone più o meno pubbliche, più o meno riservate. In un social possiamo condividere i nostri messaggi con alcuni o con tutti i nostri contatti, possiamo interagire più con gli uni che con gli altri, possiamo comunicare in modo solo verbale, o anche paraverbale con gli emoticon che manifestano i nostri stati d’animo, anche se in forma simbolica. E l’algoritmo che seleziona le segnalazioni da inviarci o i messaggi da visualizzare nella nostra bacheca tende a rafforzare inclusioni o esclusioni nelle nostre cerchie.