Topos o luogo comune
Il termine greco tòpos si traduce normalmente con “luogo”; ma in Aristotele acquista anche il significato di “luogo comune”, non nel senso negativo di falsa opinione ricorrente o ingannevole, ma inteso come “principio filosofico”, e cioè di “luogo di questioni”, “luogo di ricerca”. Per Isocrate ed Eschine è il tema vero e proprio del discorso. Nell’antica arte oratoria il topos era uno schema di ragionamento “prefabbricato” da usare in un dibattito o in un discorso.
Oggi il termine si usa col significato di luogo comune, motivo ricorrente, dal linguaggio quotidiano alla tematica di un autore e perfino di un’epoca. E’ uno stereotipo, una convenzione ripresa dalla tradizione. Si può usare sia per comunicare principi e verità riconoscibili e condivisibili (“l’amore è la cosa più importante”), sia come linguaggio fàtico, che non serve per comunicare ma solo per stabilire una relazione (“le stagioni non sono più quelle di una volta”).
L’uso dei topoi letterari costituisce uno degli strumenti fondamentali con cui si forma, si costituisce e si tramanda una tradizione letteraria, cui fanno riferimento autori ed opere di un determinato periodo storico-culturale. In tal senso, proprio grazie alla sua convenzionalità e alla sua ricorrenza, il topos attraversa secoli ed opere letterarie, prestandosi alle diverse formulazioni dei singoli autori.
I topoi si possono usare proprio per trovare un’intesa comune con il pubblico, e in tal senso sono largamente usati nella cultura di massa, dalla tv alle canzoni, dal cinema ai romanzi bestseller. Oppure si possono evitare per esprimersi in modo originale, inusuale, sorprendente. Tutta la ricerca delle avanguardie storiche, dal dada al surrealismo, dal futurismo al cubismo, si basava sullo sforzo di abbattere i luoghi comuni della cultura dominante, ancorata alla bellezza classicheggiante, alla celebrazione dell’eroe, all’esaltazione delle virtù, a cui gli artisti del primo novecento contrapponevano la simpatia verso le devianze e le dissacrazioni, le maschere africane, le periferie industriali.
Anche la pubblicità oscilla fra la necessità di usare luoghi comuni per parlare alla gente comune, e al tempo stesso di evitarli per sorprendere e attirare l’attenzione. Ecco dunque che da una parte c’è la festa della mamma, dall’altra la trasgressione del profumo “arrogante” o perfino il nonsense di “Chi Vespa mangia le mele”.
Fra i topoi letterari troviamo in tanti romanzi, poemi epici, film motivi ricorrenti come il luogo ameno e il luogo orrido, il cimitero, amore e morte, il mondo alla rovescia, il restare muti per l’emozione, la discesa agli inferi, l’età dell’oro, il ritorno, il riconoscimento, l’elisir, il falso documento. Vladimir Propp ha studiato le figure ricorrenti nella fiaba, dall’eroe al drago, dal castello al labirinto, che dalle fiabe tradizionali passano alla narrativa in genere. Altri luoghi ricorrenti sono la falsa modestia, la donna angelicata o la misoginia, le isole fortunate, la malinconia, la ricerca del tesoro e il percorso di crescita o di saggezza.
Nelle arti visive i topoi sono il salice di fronte alla villetta, il portico classicheggiante, tutte le figure forti come il triangolo o il cerchio, il bel tramonto, i simboli visivi.
Nella musica sono arie, motivi, armonie ricorrenti, citazioni, schemi, il gran finale. Perfino nel jazz, che dovrebbe essere musica improvvisata, si ricorre spesso a luoghi comuni come la successione di assoli o il giro di blues.