Why not
Quando qualcuno a cui sottoponiamo un’idea ci chiede: perché vuoi fare questo?”, o noi stessi ci poniamo la domanda con il risultato di autocensurarci e reprimere la nostra iniziativa, ci può aiutare rispondere “perché no?”.
Il cappello verde della creatività trova molto spesso di fronte a sé un cappello nero, che spesso ha più potere. Il “perché no” costringe il cappello nero ad argomentare il suo pessimismo, a trovare ragioni valide per bloccare l’idea, ma anche queste ragioni possono essere scavalcate da un “e perché no?”.
Quando abbiamo fugato tutti gli ostacoli, reali e immaginari, possiamo liberare la nostra fantasia e percorrere il sentiero che ci si apre davanti, anche se penetra nel più fitto del bosco.
Per allenarsi al why not si devono cercare punti di vista diversi da quelli soliti. Al proposito Milton Erickson chiedeva ai suoi pazienti in quanti modi avrebbero potuto entrare nella stanza. Ad ogni risposta lui chiedeva: “e poi?”, e quando il paziente stremato non sapeva più che dire, lui aggiungeva: “puoi entrare camminando all’indietro, strisciando, rotolando, gattonando….”. Ci possiamo chiedere quante cose potremmo fare con una camera d’aria di bici o con una bottiglia di plastica vuota (la Patagonia usa le bottiglie usate per fare belle giacche di pile).
Il perché no è molto efficace quando pensiamo di concederci qualche gratificazione, di premiarci con qualcosa che ci fa piacere, di andare in un bel posto con qualcuno a cui vogliamo bene. Il senso del dovere, la serietà, la disciplina, qualche volta possono esser messi da parte con un allegro “perché no?” naturalmente a patto di non fare niente di dannoso per noi e per gli altri.