Continuità o destino comune
Nella percezione visiva la continuità consiste nel configurare ciò che vediamo come forme chiuse e omogenee invece che come elementi staccati l’uno dall’altro. In altre parole, completiamo le interruzioni di linee, forme e colori come se le parti mancanti fossero nascoste da altri elementi sovrapposti. Attribuiamo ad alcuni elementi un destino comune secondo criteri di somiglianza (essere tutti bianchi, andare tutti verso la stessa parte, essere allineati o simmetrici) e li raggruppiamo in forme il più possibile omogenee.
Questa caratteristica percettiva è un modo molto efficace per semplificare e organizzare la molteplicità di stimoli visivi, in modo da percepire come incomplete o seminascoste forme che ci appaiono diverse da quelle che conosciamo.
La figura di sinistra è l’immagine test classica per rappresentare in concetto di continuità. Vediamo una linea dietro un insieme di rettangoli, come un bastone dietro uno steccato, e non quattro segmenti obliqui e sei segmenti verticali, come in effetti sono disegnati nell’immagine.
Nella figura di destra la diversità di spessore delle linee accentua l’effetto di sovrapposizione delle fasce bianche.
Anche nella realtà operiamo lo stesso tipo di configurazione, facendo continuare tutto quello che consideriamo dietro ciò che in parte lo nasconde, come nelle foto in cui vediamo cancelli posti davanti a case, prati, strade. Perché vediamo un cancello? Perché mettiamo insieme tutte le sue parti in un oggetto che ben conosciamo, e facciamo continuare ciò che sta dietro perché sappiamo che il cancello lo copre solo in parte.
In base allo stesso principio di continuità mettiamo su piani diversi i porticati di logge e chiostri e tutto quello che si vede dietro le arcate e le colonne.
La continuità dipende dalla vicinanza degli elementi visivi da completare. Se sono molto vicini fino a toccarsi, prevale la forma complessiva. Se si allontanano un po’, vediamo ancora la forma come una finestra con quattro riquadri, Se si allontanano ancora in modo disordinato la continuità si indebolisce fino a che la forma complessiva scompare e prevalgono i singoli elementi.
La continuità dipende anche dall’omogeneità degli elementi da completare. Man mano che diventano diversi è più difficile configurarli insieme, fino a che si vedono solo i singoli elementi e scompaiono le forme unificanti come il bastone e lo steccato.
Il completamento per destino comune è raffigurato da insiemi di linee con decodifiche probabili e improbabili, e con criteri diversi di riduzione di ambiguità. La figura grande di sinistra è lo stimoplo visivo da interpretare. Le figure piccole di destra sono le decodifiche possibili. Tendiamo a tenere insieme la linea curva da una parte e la linea spezzata dall’altra, decodificandole l’una sull’altra come nel caso a, non unendo fra loro un pezzo di curva e un pezzo di spezzata come nei casi b e c. Le decodifiche improbabili nel caso dello stimolo originale volutamente ambiguo, diventano possibili se intervengono elementi di disambiguazione come altri segni o colori, come nei casi bb e cc.
La famosissima foto dei Beatles che attraversano Abbey Road, la strada degli studi EMI dove andavano a registrare i loro dischi, fu scattata, su schizzo di John Lennon, dal fotografo scozzese Ian MacMillan nel 1969 per la copertina del disco Abbey Road.
L’immagine gioca sul principio della continuità per le strisce pedonali, e del destino comune per i quattro musicisti che camminano in fila con lo stesso passo.
Roy Lichtenstein dipinge Sunrise nel 1965, riproducendo in grandi dimensioni la grafica e i retini dei fumetti dell’epoca. Anche se l’artista si preoccupa di dipingere un’immagine piatta, senza nessuna illusione spaziale, la continuità dei raggi e della trama a retino rosso del cielo separa visivamente i due piani, ponendoli l’uno dietro l’altro.
In questa fotografia del periodo svizzero di Werner Bischof che va dal 1934 al 1944, il nudo femminile è “vestito” dalla proiezione della raggera, il cui centro coincide col capezzolo della modella. Il principio di continuità crea un bel gioco visivo fra la raggera e il corpo, che si modellano ambedue con i giochi di luce.
Piero Dorazio, esponente dell’astrattismo romano, dipinge queste sue Bande nel 1962. Le bande di uguale larghezza ma di diversi colori e inclinazioni mettono in gioco continuità e destino comune di inclinazioni e colori per suggerire relazioni mutevoli fra le bande colorate che lasciano intravvedere un fondo bianco su cui vanno sovrapponendosi in modo ora ordinato, ora caotico. Ne risulta una dinamica visiva di sovrapposizioni diverse, di piani che avanzano e retrocedono svelando e nascondendo le bande sottostanti.
Joan Mirò invece gioca sulla contraddizione di continuità di colori e destino comune di forme in questa sua Hirondelle Amour del 1934, con strane figure fluide che si dispongono intorno alle scritte di aspetto infantile, ad evocare l’atmosfera onirica e ludica di tutto il dipinto. La contraddizione avviene quando le figure si sovrappongono e invece di conservare il loro colore prendono il colore della figura sottostante, per costringere l’occhio a fare un continuo salto di continuità tra forme e colori.