Figura e sfondo

figura e sfondo, segnale e rumore

Quando vediamo qualcosa consideriamo “figura” ciò che ci interessa in quel momento, “sfondo” ciò che non ci interessa. Ciò accade sia se guardiamo una scena reale, sia se guardiamo un’immagine. Anche quando ascoltiamo qualcosa, percepiamo come figura un suono o un segnale dotato di significato che ci interessa, e come sfondo tutti gli altri suoni che percepiamo come ambiente sonoro o come disturbo e rumore. La forza comunicativa di un’immagine dipende da quanto la figura si distingua dallo sfondo. La qualità di un suono naturale o riprodotto dipende dall’ampiezza del rapporto segnale/rumore. 

Secondo la psicologia gestaltica distinguiamo le figure dallo sfondo nei nostri rapporti con gli altri e con l’ambiente. Consideriamo come figure le persone, le cose, i fenomeni che ci interessano, che ci attraggono o ci spaventano, che per noi rappresentano problemi o eventi degni di nota. “Estraiamo” la figura avvicinandola a noi, “spingiamo” verso lo sfondo tutto il resto, considerandolo come qualcosa di acquisito, scontato e non problematico, tale quindi da non meritare la nostra attenzione, fino a quando non succede qualcosa che emerge da quel fondo e richiama la nostra attenzione su un nuovo stimolo. Per esempio, se lavoriamo seduti davanti al computer, diamo per scontato che la sedia ci regga e ci concentriamo sul monitor. Se però la sedia si rompe e ci fa cadere, il nostro equilibrio si rompe e deve essere ripristinato in qualche modo, ponendo la sedia al centro del nostro interesse e relegando il monitor nello sfondo. Non ci limitiamo a cogliere le figure così come sono, ma le “configuriamo”, le confrontiamo con forme che abbiamo nella mente, le riconosciamo oppure le identifichiamo e le classifichiamo, costruendo così il nostro modello di mondo e i nostri comportamenti, al punto tale che se questi sono disfunzionali, basta riconfigurare i modelli per migliorare i comportamenti.

mimetismo naturale

Anche la natura distingue le figure dal fondo con i fiori e gli animali che vogliono segnalare la loro presenza per attrarre impollinatori o partner sessuali, o le assimila con il mimetismo di animali che per non farsi vedere da predatori o da prede assumono forme e colori simili a quelli dell’ambiente in cui si trovano.

Distinguiamo le figure dallo sfondo in modo automatico, ma influenzato da esperienze precedenti. Riconosciamo subito un oggetto o una persona che conosciamo bene, e la persona amata si stacca dalla folla, come il cantante o il solista si staccano dall’orchestra. Se lavoriamo sulle nostre conoscenze e le nostre motivazioni possiamo modificare le nostre percezioni spostando i centri di interesse. In tal modo elementi che erano nel fondo vengono in primo piano, e viceversa. Questa capacità è rivelata dalle figure ambigue come il triangolo o il quadrato di Kanisza, o il cubo di Necker, in cui possiamo decidere che cosa portare avanti e che cosa spingere dietro.

figure dfi kanisza

Gaetano Kanisza, psicologo e pittore, è stato uno studioso della Gestalt e professore e fondatore dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Trieste, e nel 1955 ha proposto queste illusioni ottiche che sono diventate famose e fondamentali per la psicologia della percezione, come dimostrazione della nostra tendenza a configurare per figure forti come il triangolo e il quadrato, che vediamo costruendoli con la nostra mente anche se nel disegno non ci sono. Nel nostro processo percettivo di “estrazione” della figura dallo sfondo, se nell’immagine riconosciamo un triangolo e un quadrato bianchi li vediamo coprire i cerchi neri. Se invece ci sforziamo di non configurare, ma di considerare solo i segni grafici effettivamente esistenti nell’immagine, vedremo le tre o quattro torte nere prive di una fetta, e tutto il resto come vuoto o come fondo bianco che sta sotto le figure nere.

Louis Albert Necker, geografo, alpinista e cristallografo svizzero, pubblicò nel 1832 l’illusione ottica che prende il suo nome, il famosissimo “cubo di Necker”. Se si fissa un vertice del cubo di sinistra e lo si porta avanti o indietro, si vedrà la faccia corrispondente venire avanti o indietro, come si vede nelle due immagini a destra che disambiguano l’immagine originale. Su questa ambiguità percettiva si basano creazioni artistiche come le “Scale” di Maurits Cornelis Escher, del 1931, dove le persone che salgono e scendono indicano il senso di lettura delle scale. Da notare che la nostra mente è incapace di vedere nello stesso momento una figura come sfondo e viceversa, perché il linguaggio analogico è incapace di negare. Escher sfida questo limite con il paradosso visivo di una persona che sale e un’altra che scende lungo la stessa scala, obbligandoci ad una codifica contraddittoria e ad una situazione impossibile. Altra applicazione dell’illusione del cubo è la litografia “Senza Titolo” di Victor Vasarely, del 1970, dove i due vertici possono essere spinti avanti e indietro e dare l’impressione di due volumetrie diverse. In questo caso l’immagine conferma l’impossibilità di configurare un vertice come elemento sia sporgente, sia rientrante.

figura di rubin con disambiguazione

Edgar Rubin, psicologo danese, nel 1915 ha proposto la sua famosa figura ambigua in cui se si considera come figura il bianco si vede una coppa o un vaso, se si considera il nero si vedono due profili umani contrapposti. Se la differenza di colore e luminosità fra le due parti dell’immagine è minima l’ambiguità percettiva aumenta. Se invece alle due parti dell’immagine viene applicata la stessa texture, in positivo e in negativo, come figura prevale la texture, e solo in un secondo tempo si percepiscono i due profili, e ancora dopo il vaso. Questo fenomeno lo ritroviamo quando percepiamo forme in seconda lettura, come facce umane nelle nuvole o nei profili delle montagne.
La disambiguazione avviene applicando caratteristiche diverse ai due piani. Secondo la teoria della buona forma vediamo come un solo soggetto ciò che sta dietro il vaso (il paesaggio collinare o la prospettiva centrale). Se aggiungiamo informazioni ai due profili, come occhi, nasi e bocche, e invertiamo il chiaro e lo scuro, non c’è più ambiguità e vediamo i due profili su fondo nero. Secondo Rubin, vediamo le figure come oggetti (le facce o il vaso) e gli sfondi come sostanze (l’aria, il vuoto, il buio). Le figure ci appaiono più vicine rispetto allo sfondo. Le figure assumono l’aspetto tracciato dai contorni.

ambiguità figura sfondo

Un altro assai citato esempio di ambiguità si trova nella figura test del sassofonista, se focalizziamo sul nero, che diventa un volto di donna se focalizziamo sul bianco. La foto a sinistra mostra invece due giovani che stanno per baciarsi, e l’ambiguità è ridotta perché se consideriamo come forma il bianco invece del nero, non riusciamo ad assimilarlo a nessuna forma conosciuta. L’ambiguità aumenta nella foto a sinistra, dove ho ritoccato il bianco dandogli la forma di un cuore.

Se cambia il nostro interesse cambierà anche la figura, che però non possiamo considerare contemporaneamente sia come figura che come sfondo, perchè non possiamo negare ciò che stiamo vedendo sia con gli occhi sia con la mente (“non si può non pensare a un elefante bianco”, dice Watzlawick, perché anche se neghiamo l’esistenza di un simile animale, non possiamo cancellarne l’immagine dalla mente).
Le figure ambigue ci aiutano a comprendere il fenomeno dello switch percettivo, ossia dello scambio istantaneo che possiamo fare tra figura e sfondo. Tenendo conto di ciò si può evidenziare la figura rispetto al fondo, oppure nasconderla, armonizzarla o addirittura confonderla col fondo, come abbiamo visto col mimetismo. Al proposito vediamo che cosa succede con una serie di variazioni tra figura e sfondo applicate alla stessa immagine.

figura sfondo - grigio e folla

La differenziazione massima tra figura e sfondo si ottiene con sfondi neutri e il più possibile “vuoti”, cioé privi di informazioni visive. E’ ciò che si ottiene con immagini scontornate o riprese su fondali uniformi. La figura ha la massima evidenza, ma rischia di diventare poco naturale, perché nella realtà è molto raro che il fondo sia completamente vuoto e uniforme. All’opposto abbiamo la figura che si trova davanti ad un fondo popolato di figure simili. La figura stenta a distaccarsi dal fondo, è come una voce che a malapena si distingue fra tante altre voci.

figura sfondo - campo verde

Se le voci diventano un brusio indistinto è più facile intendere la voce principale, così come è più facile distinguere la figura dal fondo, se nel fondo le immagini si rimpiccioliscono e diventano una texture come i campi erbosi di queste immagini, e se c’è differenza di colori e di luminosità (figura chiara su fondo più scuro o viceversa). Anche se il soggetto è in controluce si stacca dal fondo, perché comunque per noi la ragazza è più interessante e significativa del campo di grano.

figura sfondo - lago

L’immagine in alto mostra la figura su uno sfondo meno neutro, la riva boscosa di un lago, e sia la figura che lo sfondo sono ugualmente nitidi, Questo genera una contraddizione percettiva, perché la nitidezza corrisponde a ciò che stiamo guardando o che vogliamo sia guardato, quindi è come se guardassimo contemporaneamente la ragazza e il lago. Nell’immagine in basso il lago è sfocato, e la contraddizione percettiva non c’è più: non c’è dubbio, stiamo guardando la ragazza, il resto è accessorio, serve solo a fare ambiente.

figura sfondo - silohuette

Se il profilo controluce mostrava ancora gli elementi formali, la silouhette nera è priva di informazioni, tuttavia viene sempre percepita come figura: anche se non li vediamo, sappiamo che ci sono occhi, bocca, vestito, e il contorno ci dice chiaramente di che si tratta.
Diverso è il caso in cui dentro la silouhette c’è un’altra figura. Il lago sfocato ci dice che si tratta dello sfondo, e che la figura è la silohuette, ma quando guardiamo dentro di essa, vediamo un’altra figura, contro uno sfondo a sua volta caratterizzato dal tramonto. L’immagine diventa così molto complessa e ricca di significati, e si presta ad interpretazioni narrative: la ragazza al lago ricorda il tramonto al mare in cui vide lui, seduto sulla balaustra contro il sole. Ecco dunque che più figure e più sfondi si susseguono in una visione diacronica e complessa, come accade nella maggior parte dei casi in cui vediamo tante cose insieme, e dobbiamo districarci e capire che cosa viene prima e che cosa dopo, che cosa è più o meno importante.

figura sfondo - contorno

Se dopo aver abolito le informazioni della figura aboliamo anche quelle dello sfondo, ci resta una linea di contorno che, per sottile che sia, basta a racchiudere dentro di sé una zona che percepiamo come figura diversa da ciò che sta fuori, anche se le caratteristiche visive del dentro e del fuori sono identiche. E’ quello che Rubin chiama “appartenenza unilaterale dei contorni”, secondo cui la figura assume la forma tracciata dal contorno, testimoniando che il margine appartiene unilateralmente alla figura e non allo sfondo.

figura sfondo - texture op

Anche se applichiamo la stessa texture optical alla figura in positivo e allo sfondo in negativo, continuiamo a percepire il profilo come figura, anche se le informazioni sono solo invertite e facciamo un po’ di fatica. Secondo il principio della buona forma mettiamo insieme fra di loro tutti i segni neri della figura tirandoli avanti, e spingendo indietro tutti quelli dello sfondo. Ovviamente la figura si distingue meglio se i bianchi del fondo sono colorati.

figura sfondo - quinte

Tornando sul principio secondo cui vediamo con nitidezza ciò su cui dirigiamo la nostra visione centrale, se in una immagine appaiono forme sfocate davanti a forme nitide, proviamo disagio perché si verifica una contraddizione percettiva: gli elementi che stanno davanti dovrebbero essere le figure, non lo sfondo. Se sono sfocate sono cose da non guardare, quindi sonoostacoli, ingombri fastidiosi.
Le cose cambiano se gli elementi sfocati vengono posti ai lati del campo visivo, come nell’immagine in basso. In tal caso la visione centrale è diretta sui ragazzi che senza equivoci diventano le nostre figure, e le forme sfocate assumono la funzione di quinte che, proprio come le quinte teatrali, hanno la funzione di condurre lo sguardo verso i punti significativi, non di trattenerlo su di sé. Gli elementi da usare come quinte però non devono mostrarsi interi, ma solo in parte, perché altrimenti torneremmo nelle condizioni dell’immagine superiore.
Tutto ciò ha valore nel caso di immagini fisse, non di sequenze filmiche in cui l’elemento sfocato in primo piano non dà fastidio perché si muove, oppure si muove lo zoom della cinepresa, quindi è una situazione transitoria che non appare disturbante.

pattern gerarchico e atonale

Se gli elementi dell’immagine da identificare come figure sono più di uno, possiamo organizzarli secondo un pattern gerarchico, se un elemento prevale rispetto agli altri perché più grande, più illuminato, più interessante, o un pattern atonale se gli elementi sono tutti di uguale importanza. L’immagine in alto mostra un pattern gerarchico, dove l’uomo allineato col sole è il protagonista della scena, e gli altri fanno da comparse. Nel pattern atonale dell’immagine inferiore le quattro persone sono viste come unica figura, come una sola squadra impegnata nel saluto al sole morente.

In base a tutto quanto abbiamo visto, la distinzione tra figura e sfondo, anche se nella maggior parte dei casi la facciamo in modo automatico e senza pensarci, dipende da noi, dalle nostre scelte, dalle nostre motivazioni, dai nostri interessi e dalle nostre paure. E attraverso queste scelte determiniamo il nostro posto nel mondo. Possiamo perciò governarla imparando a cambiare punto di vista, a non fermarci al primo sguardo ma a osservare meglio per comprendere e comportarci meglio.

Se poi siamo produttori e postproduttori di immagini, dal più banale selfie alle sofisticate immagini pubblicitarie, dalle immagini di consumo alle opere d’arte, da disegni fatti a mano fino ai prompt per generare immagini con programmi di intelligenza artificiale text to image, possiamo decidere noi quali figure andranno viste e come e quanto dovranno distaccarsi dal fondo o immergersi in esso.
Al proposito ecco una griglia di caratteristiche da dare a figure e sfondi, blu per la figura e rosse per lo sfondo, o in alcuni casi rosse per la figura e blu per lo sfondo, per staccare la figura dallo sfondo, e blu/blu o rosse/rosse per figura e sfondo per fondere e mimetizzare la figura con lo sfondo. Si possono fare prove con un programma di ritocco fotografico come Photoshop, Gimp o Affinity Photo, con figure e sfondi su livelli separati per modificarle seguendo i suggerimenti della griglia.

griglia figura-sfondo