Forme chiuse e aperte
Le forme chiuse hanno strutture semplici, compatte, simmetriche, coerenti, complete, isolate dall’ambiente. Le forme aperte hanno strutture irregolari, frastagliate, complesse, incomplete, interagenti con l’ambiente.
Il concetto di forma aperta e chiusa è stato proposto dallo storico dell’arte Heinrich Wölfflin a fine 800, nei suoi studi sul passaggio dal rinascimento al barocco, dove l’arte rinascimentale prediligeva forme chiuse, la barocca forme aperte. Per “forma” il Wölfflin intende soprattutto “composizione”.
Rinascimento
Pietro Perugino, Sposalizio della vergine, 1504. La composizione è chiusa e simmetrica per la disposizione sia degli elementi architettonici del tempio, sia per le persone, da un lato e dall’altro del celebrante. Tutti gli elementi compositivi sono ordinati e statici in un quadro ben circoscritto che in ogni sua parte si richiama a se stesso.
Barocco
Giovanni Lanfranco, Martirio di sant’Ottavio, 1622. Lo stile della forma aperta tende in ogni parte a superare se stesso e vuole apparire illimitato. La composizione è priva di un centro, sbilanciata, dinamica con le figure che si dispongono per diagonali. La tensione drammatica è al culmine, proprio nel momento in cui il santo sta per essere colpito ancora, dopo un primo colpo che lo sta facendo cadere. Anche in cielo la Madonna sta consegnando la corona del martirio all’angelo che con l’arco delle braccia fa da raccordo fra il sopra e il sotto. I forti contrasti di chiaroscuro e di colore accentuano la suggestione emotiva della scena.
Comunicazione visiva
Le forme chiuse sono forme delimitate da una linea di contorno continua e chiusa con un minimo di curve o di angoli, le forme aperte sono forme delimitate da linee di contorno spezzate e discontinue, oppure continue ma aperte ad un massimo di curve o di angoli.
Il concetto di forma chiusa e aperta nella percezione visiva si collega al concetto di buona forma della gestalt, dove la forma è tanto più buona quanto più è chiusa. Il nostro cervello tende a considerare migliori le forme chiuse, e quindi a completare come forme chiuse elementi che lasciano aperte le forme configurabili.
Il famoso triangolo di Kanisza mostra con evidenza questo processo di chiusura, che nella prima immagine ci fa vedere un triangolo equilatero bianco poggiato su cerchietti neri, anche se il triangolo non c’è nella realtà, ma solo nella nostra mente. Tanto è vero che scompare se nell’immagine di centro i cerchietti ruotano e assumono orientamenti diversi. In questo caso il completamento non avviene più col triangolo, ma con i cerchietti che diventano tre cerchietti a cui manca un settore. Il completamento nell’immagine di destra ci fa vedere di nuovo due stelle bianche a cinque punte su cinque cerchietti neri perché le forme risultanti ci sembrano migliori di fronte ai dieci elementi grafici percepiti.
Il completamento avviene anche come integrazione di ciò che manca, come accade per i ruderi che percepiamo come tali proprio perché mentalmente completiamo le parti che sono andate distrutte, come è accaduto all’Abbazia di Longpont, fondata nel XII sec. da San Bernardo di Chiaravalle nei pressi di Soissons, e semidistrutta prima con la Rivoluzione Francese, poi con la Prima Guerra Mondiale. Conoscendo lo stile gotico riusciamo a integrare le parti mancanti, ma lo facciamo a modo nostro. E proprio in questo completamento personale risiede il fascino dei ruderi.
Anche guardando quadri e fotografie integriamo immagini incomplete o seminascoste, come accade in questa Maddalena penitente che Georges De la Tour ha terminato di dipingere nel 1640. La candela, unica fonte di luce, si intravvede appena dietro il teschio, mentre tutto il resto è immerso nel buio. Tuttavia è la nostra immaginazione che completa le immagini e le rende piene di suggestione e di atmosfera. Gli artisti e i poeti sanno bene che la seduzione si ottiene più col nascondere che col mostrare, ma se non fossimo capaci di completare ciò che vediamo la cosa non potrebbe funzionare.
In natura le forme sono chiuse o aperte in base alla funzione che le entità naturali devono compiere. Se devono contenere, proteggere, separare, le rispettive forme saranno prevalentemente chiuse, se devono comunicare, interagire, prendere e dare, le forme saranno aperte. Un lago ha forma chiusa perché ha la funzione di raccogliere una certa quantità di acqua, un fiume con i suoi affluenti ha forma aperta e ramificata perché ha la funzione di portare l’acqua dalla montagna al mare.
Il fiore ha una forma aperta, con petali, stami e pistillo, perché ha la funzione di attirare e di accogliere gli impollinatori. Il frutto ha una forma chiusa perché deve conservare la sua polpa fino a portarla a maturazione.
Anche il nostro corpo ha forme chiuse o aperte per gli organi che deve proteggere e con cui deve comunicare. La nostra testa è chiusa dietro per proteggere il cervello, aperta davanti per parlare, mangiare, annusare, guardare. Anche nei comportamenti ci chiudiamo quando vogliamo isolarci, proteggerci, ci apriamo quando vogliamo prendere, dare, accogliere, comunicare.
Pratichiamo l’apertura e la chiusura anche nei nostri manufatti, in ciò che progettiamo e costruiamo, da oggetti a intere città.
La struttura dell’albero, che troviamo in natura ma che adottiamo anche nei nostri organigrammi e algoritmi, è aperta sia nei rami, che devono comunicare col cielo, sia nelle radici, che devono comunicare con la terra.
Il container invece ha una struttura chiusa, e così la casa, gli imballaggi, tutto ciò che deve contenere e proteggere qualcosa, separandolo da ciò che resta fuori.
Anche gli insediamenti urbani assumono forme aperte o chiuse a seconda che vogliano proteggersi o comunicare. I Romani si aprivano con i centri sorti lungo le grandi vie consolari. Nel Medioevo ci si chiudeva dentro castelli per difendersi da invasori, briganti e malattie. Nell’età moderna ci si apre con le reti di strade, ferrovie, linee aeree e marittime.
Monteriggioni, fondato dai senesi ai primi del 200, è tutto racchiuso nella cinta muraria che segue la forma della collina e serviva a difendere da assalti di fanti, cavalieri e catapulte.
Palmanova è una città fortezza fondata dai veneziani nel 1593, proclamata monumento nazionale nel 1960 e patrimonio dell’umanità Unesco nel 2017. Alla forma chiusa della cinta muraria si aggiungono rivellini che le danno la caratteristica forma a stella delle fortificazioni “alla moderna” fatte per deviare i colpi delle artiglierie dell’epoca. Man mano che ci si allontana dal centro la forma si apre conservando sempre le chiusure del sistema difensivo con fossati e altri rivellini.
Cisterna di Latina è una antichissima città sorta, distrutta e risorta più volte, dall’epoca preromana fino alla II Guerra Mondiale, quando fu rasa al suolo dai tedeschi. L’ultima ricostruzione è stata rapida e disordinata in seguito alla forte espansione dovuta ai finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno, e la sua forma irregolare e aperta risente sia del disordine urbanistico sia delle esigenze di comunicazione che nei tempi moderni hanno soppiantato le esigenze di difesa che portavano a rinchiudersi dentro le mura.
Problem solving
La chiusura percettiva delle forme è un riduttore di complessità. La soluzione del triangolo bianco sui tre cerchietti neri è più semplice che non considerare i tre cerchietti distinti, anche perché dovremmo spiegarci come mai ad ogni cerchietto manca un settore. Completare le figure parzialmente percepite secondo forme ben note riduce l’incertezza e la complessità di chiederci ogni volta se si tratta di ciò che pensiamo o di altro.
Chiusura e completamento sono quindi soluzioni di problemi che attiviamo in forma automatica, senza pensarci. Tale inconsapevolezza facilita e velocizza la nostra percezione, ma ci espone al rischio di ingannarci e di farci vedere ciò che non c’è, o che nella realtà è ben diverso. E’ il caso delle immagini ambigue e delle illusioni ottiche. Nella vita quotidiana non c’è bisogno di tanta consapevolezza, che diventa invece necessaria se siamo artisti e designer impegnati a produrre immagini e progetti che richiedono soluzioni formali. Una buona idea è sempre quella di legare il più possibile la forma alla funzione e all’uso che si fa dell’oggetto o dello strumento progettato, come ci hanno insegnato grandi maestri come Bruno Munari o Donald Norman. Quest’ultimo, a proposito dell’usabilità delle interfacce, sostiene che è la forma stessa degli oggetti a farci capire come usarli, da che parte prenderli in mano, spingerli o tirarli, aprirli o chiuderli.
Allora, per definire la struttura di ciò che dobbiamo realizzare, chiediamoci: a che cosa serve? Che tipo di problema dovrà risolvere? Dovrà trattenere lo sguardo all’interno della figura, o dirigerlo altrove? Dovrà ispirare una sensazione di difesa e protezione, o spingere ad aprirsi, comunicare, lanciarsi nell’avventura? Le risposte a queste domande ci diranno se è preferibile una struttura chiusa e compatta, o aperta e articolata.
Renzo Piano sceglie una forma chiusa per l’Auditorium del Parco della Musica di Roma, perché la sala da concerto deve essere isolata e protetta da rumori esterni.
Adotta invece forme aperte, ispirate alle tende degli aborigeni, per gli edifici del Centro Culturale Tjibaou in Nuova Caledonia, a sottolineare la simbiosi con la natura della civiltà kanak.
Marco Zanuso crea per la Brionvega la radio “Cubo” nel 1965 e il telefono “Grillo” nel 1967. Ambedue gli oggetti quando non si usano hanno una forma chiusa e compatta, quando invece servono per ricevere o scambiare informazioni col mondo esterno, si aprono e anche la loro forma da chiusa diventa aperta.
Anche nell’impaginazione tipografica il testo giustificato è chiuso nella forma grafica all’interno della pagina, con margini simmetrici e un invito alla lettura lenta e ordinata, adatta a romanzi e saggi. Ne è un esempio la pagina della Bibbia di Gutenberg del 1455, all’inizio della grande avventura del libro stampato.
Il testo a bandiera allineato a sinistra, come i testi di questo sito, ha una forma più aperta, che invita ad una lettura più rapida ed è adatto a pagine web, testi pubblicitari, testi poetici.
I futuristi hanno rotto queste convenzioni con le loro parolibere che, lanciate come provocazione nel 1912, sono il trionfo della forma tipografica aperta, caotica, senza regole, volta a trasmettere la vitalità dinamica e aggressiva del movimento.