Luminosità
La percezione della luminosità di un’immagine, di un oggetto o di un ambiente dipende dalla quantità di luce che la sorgente dello stimolo visivo emette o riflette.
Il concetto di luminosità comprende i concetti di contrasto fra luci e ombre, di illuminazione o quantità e qualità della luce che illumina soggetti, oggetti e ambienti, di chiarezza o brillanza o luminanza di colori emessi o riflessi da una sorgente o percepiti da un osservatore.
Il colore locale è la colorazione dell’oggetto riprodotto in foto o in illustrazioni e dipinti manuali e digitali. Il colore tonale è il colore locale combinato con l’illuminazione. Le foto mostrano tre oggetti di colore diverso: una bottiglia nera, una palla arancione e un ereader grigio chiaro. Questi sono i colori locali degli oggetti, nella prima foto in una luce uniforme che ne mostra le differenze intrinseche. Le foto che seguono mostrano i valori tonali che i colori prendono in diverse condizioni di illuminazione.
La luminosità dei colori digitali si può regolare con diverse metodologie presenti nei programmi grafici per computer. A ciacun colore si possono attribuire valori che ne definiscono la tinta, la saturazione e la chiarezza. Per avere un’idea dei criteri colorimetrici descriviamo qui il sistema HSL, basato su tre coordinate che si possono visualizzare con un cilindro con la base superiore bianca, l’inferiore nera, la superficie laterale H con colori pieni, l’asse centrale L con la scala di grigi.
La sezione mediana contiene i colori perfettamente saturi che verso l’alto si schiariscono, verso il basso si scuriscono, verso il centro si desaturano e diventano grigi.
In basso vediamo la finestra di regolazione HSL di un rogramma grafico. I due cerchietti in alto a sinistra mostrano il colore di riempimento (blu) e di contorno (nero). I tre cursori regolano i valori di Hue (tinta), Saturation (saturazione), Ligntness (luminosità). Il rettangolo riporta tutti i colori come si presentano nella faccia laterale del cilindro, ossia a tinta piena che corrisponde al valore di saturazione 100, dove lo 0 corrisponde al grigio. Il colore si può scegliere cliccando su un punto qualsiasi del rettangolo, oppure impostando i valori relativi con i cursori, dove la tinta è misurata con i gradi della circonferenza (0 e 360=rosso, 120=verde, 240=blu). La luminosità va da 0 (nero) a 50 (tinta piena) e a 100 (bianco). Nell’esempio mostrato il blu ha i valori H=240, S=100, L=50.
Le due foto di Werner Bishof, ambedue degli anni ’40, ritraggono a sinistra due lavoratori edili, a destra un canale olandese, e si servono a fini espressivi di due diverse gamme di contrasto. La dinamicità drammatica dei lavoratori è accentuata dalla composizione per diagonali e dalla veduta dal basso, ma anche dalla illuminazione solare che crea bruschi contrasti fra luci e ombre, come si vede dall’ampiezza della scala di grigi posta sotto le foto, che dal bianco al nero rappresenta le possibilità di modulazione del chiaroscuro. Nella foto di destra i barconi emergono appena dall’atmosfera nebbiosa e malinconica, in un controluce velato dai bassi contrasti, come si vede dalla gamma ridotta della scala di grigi.
Il contrasto è la differenza fra le parti chiare e quelle scure. In natura il contrasto è massimo fra l’intensità della luce del sole e la prodondità del buio di una caverna profonda, e il nostro occhio è fatto in modo da adattarsi immediatamente alle variazioni di luminosità, come possiamo constatare quando per esempio guidando entriamo in un tunnel e per un attimo vediamo tutto buio, ma immediattamente dopo già vediamo qualcosa e possiamo continuare a guidare.
Nelle immagini prodotte dall’uomo il contrasto è enormemente ridotto perché qualsiasi colore o schermo bianco è infinitamente meno luminoso del sole, e qualsiasi nero è molto meno scuro della più profonda oscurità della notte. Quindi la sensazione che chiari e scuri siano simili a quelli naturali è dovuta all’arte del creatore di immagini, dal Caravaggio per la pittura, a Edward Weston per la fotografia, a Vittorio Storaro per il cinema.
La riproduzione dei colori viene fatta scomponendo i colori naturali nei colori fondamentali che, combinandosi oppportunamente fra di loro, producono tutti i colori visibili. La combinazione avviene per sintesi additiva, se i colori sono generati da sorgenti luminose che aggiugono chiarezza come i pixel di un monitor o le luci colorate proiettate su un palcoscenico o su un set di ripresa cine o tv, o sottrattiva se i colori sono generati dalla sovrapposizione che sottrae chiarezza al supporto su cui vengono deposti, come i pigmenti di una stampante o le pennellate di un pittore.
La sintesi additiva del colore-luce, che vediamo nel nostro monitor, avviene partendo dai tre livelli monocromatici rosso, verde e blu, che combinandosi danno il giallo, il ciano e il magenta. I limiti del contrasto sono dati dalla luminosità massima che è il bianco della luce piena, con la completa combinazione dei tre colori RGB (red, green, blue), e dalla luminosità minima che è l’assenza di luce e si ottiene “spegnendo” i tre colori RGB.
La sintesi sottrattiva del colore-pigmento, che è usata dalle stampanti digitali e dalle macchine tipografiche, combina i tre colori fondamentali ciano, giallo e magenta, a cui è aggiunto il nero. I limiti del contrasto sono dati dalla luminosità massima che è l’assenza di pigmento che lascia completamente visibile il colore del supporto, e dalla luminosità minima che è la sovrapposizione piena di tutti e quattro i colori, che danno un nero intenso. Il sistema di selezione dei colori si chiama CMYK (cyan, magenta, yellow, k-black per non confonderlo con blue). La combinazione dei colori dà il blu, il rosso e il verde.
Luminosità e cotrasto si possono regolare sia nella ripresa, sia nella fase di elabortazione dell’immagine. Il criterio da seguire per ottenere una imagine corretta è conservare un sufficiente livello di informazione in tutte le parti significative dell’immagine. Nell’esempio elaborato in postproduzione si vede al centro l’immmagine col contrasto corretto. A sinistra c’è carenza di luminosità e di contrasto, che rendono la figura poco rilevata rispetto al fondo. A destra la figura si stacca decisamente dal fondo, ma l’eccesso di luminosità e di contrasto fa perdere le informazioni nel bianco del fiore e nei neri delle foglie.
Nella ripresa il contrasto si può controllare con la scelta dell’illuminazione. A sinistra l’oggetto è ripreso con luce uniforme diffusa, che ne rende la forma ma appiattisce il volume e livella le imperfezioni della superficie. A destra la luce del sole con un brusco passaggio dai chiari agli scuri mette bene in risalto il volume e tutte le rgosità della superficie.
Il gradiente di luminosità serve a dare l’illusione di volumi e superfici, oltre a creare effetti di luce ambiente. La luce del sole, nell’immagine di destra, per la grande distanza dalla Terra, genera ombre nette, senza gradiente, come qualsiasi altra luce puntiforme. Più è grande la superficie di una sorgente di illuminazione, più le ombre saranno morbide, con gradiente di luminosità più ampio.
E parlando di illuminazione, che c’è di meglio che fare ricorso ad una statuetta di Budda? In queste foto ho scelto la luce naturale, che è là bella e pronta, ma che richiede la scelta delle condizioni migliori di illuminazione, che non posso modificare. La luce diretta del sole, a sinistra, esalta il modellato e la superficie, come abbiamo visto sopra. Se però vogliamo una maggiore morbidezza dobbiamo evitare il sole e scegliere superfici illuminanti ampie come finestroni e pareti chiare, oppure aspettare che il sole vada dietro le nuvole. Questa è la luce morbida di Leonardo, che riteneva ideale un cortile dalle pareti chiare e il cielo nuvoloso.
La luce artificiale ci permette di illuminare il soggetto come vogliamo, ma il pericolo è proprio quello di usare troppe luci, disporle a sproposito e creare fastidiosi effetti di doppie ombre.
Per non fare confusione basta ricordare che se vogliamo creare un’illuminazione naturale dobbiamo fare come fa il sole: un pattern gerarchico con una sola luce principale dall’alto, e solo qualche altra sorgente luminosa per schiarire le ombre e creare effetti e riflessi particolari, come nella foto di sinistra.
Se invece vogliamo ottenere una illuminazione innaturale con effetti teatrali useremo una luce dal basso per creare effetti drammatici, oppure un pattern atonale di più lampade uguali disposte in modo da illuminare tutta la scena senza fare ombre, come per le lampade da trucco o da sala operatoria.
Sotto il profilo dell’illuminazione, le immagini possono avere una chiave alta se usano toni prevalentemente chiari, oppure una chiave bassa con toni prevalentemente scuri e solo qualche bagliore chiaro. Come si vede dalle foto che ho trattato con un programma di fotoritocco, la chiave alta è più lirica e delicata, la chiave bassa più intensa e drammatica.
Naturalmente si può partire dalla ripresa scegliendo soggetti e illuminazione in high key o in low key, come hanno fatto tanti artisti dell’immagine, da Caravaggio a Weston.
Nella percezione visiva le illlusioni ottiche aiutano a comprendere quanto forte sia l’intervento del cervello nella configurazione di ciò che vediamo. Le illusioni relative alla luminosità ci dicono che le forme vengono percepite per contrasto. In alto vediamo una barra e una serie di cerchi tutti dello stesso colore grigio uniforme, che sembrano sfumati per contrasto con il fondo realmente sfumato. Nel mezzo le bande di Mach sono un test in cui i rettangoli grigi hanno tinte piatte, ma sembrano sfumati perché nei lati a contatto si percepisce un contrasto maggiore, per dimostrare che il cervello sorvola quando non ci sono novità e presta attenzione solo quando percepisce variazioni di informazione. In basso le sfere a sinistra sono identiche a quelle di destra, ma sembrano più chiare o più scure per l’interferenza con le linee chiare e scure disposte sopra e sotto di esse, a dimostrare quanto la percezione della luminosità dipenda non solo dall’oggetto, ma dal contesto in cui lo vediamo.
La luce mette in evidenza le forme e attira l’attenzione, come ben sanno i registi teatrali, i fotografi, i direttori della fotografia nel cinema e in tv.
Gli effetti psicologici sulla percezione sono evidenti anche nel linguaggio comune, quando parliamo di uno sguardo o un sorriso luminoso, o di una idea luminosa.
E per concludere in bellezza, ecco una foto di Patrizia Savarese, grande maestra della luce, che ho avuto la fortuna di avere come allieva nei primisimi corsi dello IED, e che ha un talento speciale nel percepire la luce come una sostanza materiale e palpabile che dà vita alle immagini.
La foto è stata realizzata in una piscina allestita per l’occasione e illuminata con luci artificiali, e illustra il mese di dicembre nel calendario Acquaria 2000 creato per Teuco-Guzzini.