Engagement

Il termine engagement ha il significato letterale di impegno, relazione interessata. Ci si può sentire impegnati in un’idea, un’iniziativa, un movimento politico o sociale, un’attività, un gruppo di persone, una marca, un prodotto. Gli utenti dei computer Apple o degli I-Phone si sentono partecipi di una cultura, una filosofia, un livello di gusto, e considerano gli utenti di Microsoft o Android come poveretti vittime dell’impero del male. Un prodotto nuovo come l’ebook reader è sostenuto e amato da alcuni, ignorato, denigrato o combattuto da altri.

Se in tempi passati il marketing si dirigeva verso target anonimi e interessanti più per la loro quantità che per le loro qualità, oggi con i social network, le recensioni on line, le comunità virtuali occorre stabilire una relazione con individui diversi per cultura, personalità, etnia, stato sociale, opinioni.

Ognuno di noi può ignorare un prodotto, conoscerlo senza desiderarlo, lo può acquistare, può divenirne un fan o addirittura identificarsi in esso: pensiamo a certi capi di abbigliamento o a certi prodotti tecnologici.

L’engagement può essere esterno o interno ad una organizzazione. Le persone interessate all’esterno, altrimenti dette stakeholder, vanno dai clienti effettivi a quelli potenziali, fino ai sostenitori e attivisti. Gli stakeholder interni sono tutti quelli che fanno parte dell’organizzazione, dai dipendenti a collaboratori, distributori, venditori, manutentori.
Se un cliente fedele è preferibile ad un cliente occasionale, un cliente soddisfatto che consiglia ad altri la marca o il prodotto è ancora più efficace, sia nei suoi contatti dal vivo sia nelle comunità virtuali e nei social network o in tutte le altre interazioni possibili con pagine web.

Il processo di engagement inizia con l’incontro fra chi vuole qualcosa (il cliente) e chi offre qualcosa (consiglio, soluzione, prodotto, servizio, marca). Cominciamo col cercare qualcosa andando su un motore di ricerca o gironzolando in un centro commerciale, poi vediamo un prodotto o una pagina web interessanti, e ne prendiamo nota, concordiamo, condividiamo con un amico. A un certo punto deve scattare un innesco che ci spinge ad approfondire le ricerche per vedere altre soluzioni, per capire meglio, per controllare se ciò che ci piace serve veramente a risolvere il nostro problema. Quindi facciamo qualche esperienza, scoprendo e imparando qualcosa che non conoscevamo, provando una soluzione, arrivando a credere di aver trovato la cosa giusta. A questo punto passiamo all’azione comprando il prodotto, abbonandoci al servizio, dando il nostro voto, consigliando la soluzione agli amici. Ecco che siamo diventati alleati e militanti, e ci sentiamo molto di più che semplici consumatori occasionali.

La scala di impegno, per esempio nei confronti di una marca, va dagli indifferenti che non comprano quella marca o che comprano senza fare attenzione alla marca, agli informati che conoscono la marca anche se sono non clienti o clienti occasionali, agli amplifiers che parlano bene o male della marca, fanno commenti sui social, rimandano con link alle pagine della marca (referrals), ne parlano con le loro cerchie di amici (passaparola). Si passa poi agli advocates, sostenitori della marca che, se particolarmente convinti, ne diventano evangelist che vanno in giro a predicarne le virtù. Se hanno molti seguaci a cui spiegano e consigliano la marca si possono considerare influencer, persone indipendenti che possono parlare bene o male della marca e dei suoi prodotti e servizi. Se gli influencer sono pagati dalla marca come consulenti o come dipendenti ne diventano ambassadors. A costoro appartengono gli opinion leader, persone più o meno note e autorevoli che orientano gli acquisti nei confronti della marca, o testimonials, ossia personaggi famosi e credibili che mettono la loro faccia e il loro nome a sostegno della marca dietro lauti compensi.