Costo e valore marginale zero

Nel sistema di scambi commerciali basato sulla domanda e sull’offerta il valore marginale è la soddisfazione che si prova procurandosi e utilizzando un bene, l’utilità dell’ultima unità o dose di un bene. Il valore decresce man mano che si consumano nuove dosi del bene scelto. Per esempio, se ho molta sete il primo bicchiere d’acqua mi darà molta soddisfazione, i successivi me ne daranno sempre meno, fino ad un punto di sazietà e poi di rifiuto. Quindi lo stesso bene può avere per me valori differenti.

L’utilità marginale decrescente contribuisce alla formazione del prezzo, che è la differenza fra il livello di sazietà di chi dispone del bene, e il livello di desiderio di chi non ne dispone. La differenza è destinata a diminuire man mano che si consumano nuove dosi del bene.

Se in un gruppo sociale tutti i componenti raggiungono lo stesso livello di sazietà, il valore marginale è zero. E allora si possono sviluppare altri desideri volti soprattutto alla condivisione e allo scambio, al reciproco aiuto e al perseguimento di fini e beni comuni. Oppure il prodotto viene rivisto, riconfezionato, rimesso sul mercato in versione nuova. Ecco dunque che il telefonino è sempre lo stesso, ma quando esce il nuovo modello si formano grandi code di fanatici pronti a pagarlo dieci volte di più, perché il suo valore marginale è aumentato di nuovo. Questa, oltre a qualche effettivo miglioramento tecnologico, è la ragione dei continui aggiornamenti di hardware e software.

Il costo marginale unitario corrisponde invece al costo di un’unità aggiuntiva prodotta, e si ottiene dividendo il costo totale di produzione per la quantità di pezzi prodotti. Se il costo è alto si ripercuote sul prezzo di vendita, e limita il numero degli esemplari che vengono messi sul mercato. Se è troppo basso non ci sono margini di guadagno per chi vende, a meno di non contare su grandissimi numeri.

Le nuove tecnologie hanno messo a disposizione di tutti noi sistemi di elaborazione e scambio delle informazioni che hanno portato alla possibilità di creare prodotti a costo marginale irrisorio o ridotto allo zero. Basti pensare ad un libro, un romanzo di 300 pagine. Con la prima edizione cartacea di 2000 copie il libro ha un costo unitario di 10 euro, e viene venduto a 25 euro. In pochi giorni va esaurito e se ne fa una ristampa di 10.000 copie. Il costo unitario ora è sceso a 5 euro, e il prezzo resta invariato. Si vendono bene, per cui si fa un’edizione economica in 100.000 copie. A questo punto il costo è di 2 euro, e il prezzo scende a 10 euro. Se un amico mi presta il libro e me lo voglio fotocopiare in bianco/nero, mi costa sui 15 euro. 

Se dello stesso libro si fa un ebook, una volta ammortizzato il costo di impaginazione e programmazione (qualche centinaio di euro) la singola copia non costa nulla, e viene scaricata senza altri costi quante volte si vuole. Se un amico mi invia il file, lo posso copiare gratis, anche se per le case editrici è illegale. Ecco dunque che il costo marginale è ridotto a zero.

Jeremy Rifkin ha riflettuto sul fenomeno, e sostiene che si sta affermando sulla scena mondiale un nuovo sistema economico. L’emergere dell’Internet delle cose sta dando vita al «Commons collaborativo», un paradigma economico del tutto nuovo, dove per Commons si intende quell’insieme di beni comuni di cui nessuno è proprietario, ma tutti possono fruirne, come accade per parchi, boschi e pascoli comuni a differenza di quelli rinchiusi nelle proprietà private.

Se si sviluppa in un certo modo, il Commons collaborativo trasforma il nostro modo di organizzare la vita economica, schiudendo la possibilità a una drastica riduzione delle disparità di reddito, democratizzando l’economia globale e dando vita a una società ecologicamente più sostenibile. Grazie all’Internet delle Cose che interconnette comunicazioni, energia e logistica, la produttività si spingerà fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e servizi sarà quasi azzerato, rendendoli praticamente gratuiti, abbondanti e non più soggetti alle forze del mercato.

Si genera così un’economia ibrida, ancora legata al mercato capitalistico ma sempre più orientata verso il Commons collaborativo, con i prosumers, consumatori diventati produttori in proprio, che generano e condividono alla pari informazioni, intrattenimento, energia verde, prodotti realizzati con la stampa 3D, ma anche automobili, case, vestiti e altri oggetti a costi marginali bassi o quasi nulli. Gli studenti si iscrivono a corsi gratuiti online (MOOC), i giovani imprenditori evitano le banche per finanziare le loro startup con crowdfunding e monete alternative. Il capitale sociale ha la stessa importanza del capitale finanziario, l’accesso sostituisce il possesso, la sostenibilità limita il consumismo, la cooperazione prevale sulla concorrenza. Il capitalismo finirà o sarà radicalmente trasformato entro le prossime due generazioni in seguito a un abbattimento quasi totale del profitto, a sua volta annullato da una produzione a costo marginale zero, frutto dell’invasione dell’internet delle cose.

In settori crescenti il lavoro umano diventa inutile, i lavori ad alta intensità di impiego e retribuzione si riducono e aumentano scambi gratuiti e lavoretti saltuari e precari, volontariato e beneficenza. Non lavoreremo più per procurarci i mezzi di sussistenza, che saranno forniti da una migliore distribuzione delle ricchezze, ma per fare cose che ci piacciono e che sono utili a noi e agli altri. Non ci sarà più una netta distinzione fra lavoro e tempo libero, perché si lavorerà in modo smart, e perché la maggior parte dei lavori della gig economy non sarà in grado di assicurare la sussistenza per sé e per altri, e quindi il concetto stesso di lavoro non sarà più centrale, ma diventerà marginale nelle nostre vite.