Pensiero visivo
Il pensiero visivo è la capacità di pensare per immagini, di dare senso a ciò che si vede e di dare forme a ciò che si sa.
Il processo ricorsivo, che va da ciò che si vede a ciò che si pensa e che si fa, comprende un insieme di concetti e attività che possono rientrare tutti nella categoria del pensiero visivo.
- Percezione visiva: prima vedere con gli occhi e poi pensare col cervello.
- Pensiero visivo: elaborare immagini percepite, ricordate, apprese, combinate, inventate per risolvere problemi e acquisire conoscenze.
- Immagini mentali: metonimie, metafore, allegorie, simboli, visualizzazioni.
- Comunicazione visiva: condivisione di messaggi e conoscenze per mezzo di immagini, dalla segnaletica alla realtà virtuale.
- Gestione a vista: controllo e guida di sistemi organizzativi e informativi con strumenti di comunicazione visiva, dai grafici ai cruscotti aziendali.
- Visual thinking: problem solving, comunicazione e formazione con supporto di immagini.
- Mapping: rappresentazione conforme o simbolica di territori fisici o virtuali.
- Visualizzazione e verbalizzazione: dare forme alle parole e dare parole alle forme.
Per quanto la riflessione sul pensare per immagini risalga a Platone e ad Aristotele, la teorizzazione del pensiero visivo si deve a Rudolph Arnheim, con la pubblicazione dell’omonimo libro nel 1969. Howard Gardner con la sua teoria delle intelligenze multiple parla di intelligenza visiva e spaziale. Il VAK della PNL riduce a tre le attitudini mentali e comunicative: visiva, auditiva, cinestesica. Watzlawick parla di linguaggio digitale (logico, numerico, da emisfero sinistro) e analogico (visivo, sensoriale, da emisfero destro). Il pensiero, l’intelligenza, la comprensione, sono stati strettamente legati alla visione fin dalla più remota antichità, come dimostra la radice indoeuropea “wid” (vedere) che ha generato parole come i greco-latino-italiani “vedere” e “idea”, il sanscrito “vid” e il tedesco “wissen” (sapere). E tutta la visualizzazione scientifica che va dalla geometria euclidea fino alla teoria dei grafi, dai disegni anatomici di Leonardo alle radiografie e modellizzazioni tridimensionali della medicina contemporanea, ribadisce l’importanza dell’immagine nella comprensione di noi stessi, della società, del mondo e dell’universo.
Il pensiero visivo è un procedimento molto complesso perché non si limita ad elaborare gli stimoli ricevuti dagli occhi, ma li combina con gli stimoli degli altri sensi, con ciò che si sa, ciò che si ricorda, ciò che si immagina all’interno della propria mente. Sarebbe troppo lungo dare conto delle varie teorie filosofiche e fisiologiche che si sono avvicendate dall’antichità ad oggi, con le nuove frontiere che si aprono con le interazioni fra intelligenza umana e intelligenza artificiale, per cui mi limito ad alcune considerazioni utili a comprendere la complessità del processo mentale basato sulla visione.
Il cervello tende a risparmiare lavoro, a semplificare, a ridurre, a raggruppare, a stivare le percezioni nella memoria per tirarle fuori quando servono. Da questa caratteristica di base derivano alcuni fenomeni a cui non facciamo caso perché ci siamo abituati fin dalla nascita, ma che meritano una riflessione.
La persistenza di forme e colori ci permette di riconoscere ciò che avevamo visto in precedenza, anche se si presenta in modi diversi. Un pomodoro ci sembra sempre rosso, sia al sole che all’ombra, anche se in realtà al sole è arancione e all’ombra è marrone. Un libro è sempre rettangolare e della stessa grandezza, anche se l’immagine reale è deformata dalla prospettiva e dalla lontananza.
L’assimilazione verso forme e strutture forti testimonia la tendenza a semplificare. Forme geometriche primarie, strutture ad albero, a stella, il volto o la figura umana o animale emergono nella percezione di forme più complesse. Vediamo quadrati, triangoli, cerchi anche se le forme sono diverse o incomplete, antropomorfizziamo montagne e nuvole, lo zoomorfismo compare perfino nelle costellazioni zodiacali.
Persistenza e figure forti producono anche la tendenza al completamento delle forme nascoste o mancanti, che tendiamo a normalizzare o a considerare come figure sovrapposte dove la figura che sta davanti nasconde parte della figura che sta dietro, o a percepire come più lontane figure che si rimpiccioliscono per effetto prospettico.
In un insieme di elementi differenti, tendiamo a raggruppare quelli che si somigliano per dimensioni, colore, direzione, e amiamo simmetrie e altre forme di regolarità, dall’uomo vitruviano-leonardesco alla rosa dei venti.
In base a ciò che ci interessa al momento, distinguiamo le figure (ciò che ci interessa al momento) dallo sfondo (ciò che non ci interessa), e arriviamo perfino a cambiare ciò che vediamo se la figura è ambigua, nascosta o virtuale, come accade per le illusioni ottiche e il mimetismo (vedi figura-sfondo nella formazione e nel problem solving, e figura e sfondo nella gestione a vista).
La teoria del campo considera il modo in cui le figure si comportano in uno sfondo delimitato da un recinto (campo da gioco, inquadratura, formato) o da ciò che vediamo (il campo visivo). Per analogia con la nostra posizione eretta diciamo che un oggetto sta in alto o in basso, è più leggero o più pesante, è più o meno importante degli altri oggetti che compaiono nello stesso campo.
Le immagini possono essere analogiche se assomigliano alla realtà, o simboliche quando se ne discostano fino a diventare segni e simboli visivi, come accade per bandiere, marchi e stemmi, segnaletica stradale.
La percezione del colore ci fa vedere le forme come se fossero più vicine (colori caldi) o lontane (colori freddi). Distinguiamo i colori per contrasto e per luminosità, e li vediamo diversamente in base alle relazioni fra le forme colorate nello stesso campo.
Percepiamo in modo diverso immagini fisse come quadri e fotografie, e in movimento come sequenze filmate riprese dal vivo o costruite in animazione. L’elemento temporale nell’immagine fissa ha portato alla narrazione coninua, ossia alla presenza dello stesso personaggio in più parti del quadro a indicare un prima e un dopo, fino alle sequenze di immagini su un nastro continuo, come nella Colonna Traiana, o in una successione di quadri da vedere l’uno dopo l’altro (Via Crucis, fotogrammi di una pellicola cinematografica).
Il pensiero visivo accresce la conoscenza e la comprensione. Un diagramma di Gantt fa vedere subito la successione di compiti che è necessario svolgere per realizzare un progetto. L’immagine a imbuto dell’Inferno dantesco ne fa capire la struttura.
Il pensiero visivo agevola l’invenzione. La struttura del DNA venne in mente ai ricercatori dopo aver sognato l’Uroboro, il serpente che si mangia la coda. Il termine stesso di “fantasia” esprime qualcosa che si manifesta, che si vede con la mente anche se non esiste. E così Swift può immaginare uomini molto grandi o molto piccoli, e Abbott esseri bidimensionali. Oppure si possono combinare parti di rettili diversi per immaginare un bel drago.
La pratica zen mira ad ottenere l’illuminazione, una comprensione improvvisa al di fuori della logica, e la metafora della lampadina visualizza l’intuizione o insight con cui improvvisamente si vede una soluzione che finora era nascosta.
Il pensiero visivo è fondamentale nel problem solving. La tecnica dello scalatore pone la soluzione in cima ad una scala o ad una montagna, e dalla cima scende fino a terra con una serie di passaggi che rappresentano le tappe per risolvere il problema. La sfera di cristallo spinge a “vedere” se stessi in un futuro in cui il problema sarà risolto o si sarà aggravato.
Le immagini infine superano le barriere linguistiche, e vengono efficacemente usate nella segnaletica e nella comunicazione internazionale, dagli aeroporti al web.
René Magritte col suo famosissimo paradosso della pipa mette in evidenza una caratteristica importante del pensiero visivo, la sua incapacità di negare, come fa rilevare Watzlawick, anche di fronte ad una esplicita negazione verbale. “Questa NON è una pipa” ci dice il messaggio verbale, ma noi continuiamo a vedere una pipa, anche se non è una vera pipa, ma la sua raffigurazione. Se diciamo a qualcuno: “non pensare ad un elefante bianco!”, costui non potrà farlo, perché comunque il pensiero visivo gli fornirà l’immagine dell’elefante bianco. Ne va tenuto conto nella comunicazione visiva di contenuti negativi o dannosi: se mostriamo l’immagine di uno che si droga con l’invito verbale a non drogarsi, il pensiero razionale coglierà questo invito, ma il pensiero visivo terrà presente l’immagine del drogato. E in molti casi l’immagine negativa sarà molto più seducente della raccomandazione verbale a non tenerne conto o a negarla.