Resilienza
Lungo il fiume ci sono giunchi e salici piangenti, qualche baracca di cacciatori e contadini, un grande macigno rotolato a valle dalle montagne sovrastanti. Il fiume ha dovuto cedere al macigno, e lo ha aggirato con un’ansa. Il macigno ha vinto la forza del fiume con la sua massa e il suo peso, ma non ha fatto null’altro. Un giorno è arrivata una piena che ha travolto le baracche, ma salici e giunchi sono restati lì e sono cresciuti più belli e flessuosi di prima. Il masso ha resistito per inerzia. Le baracche hanno opposto resistenza alla normale corrente del fiume, ma non all’onda di piena. Giunchi e salici si sono piegati sotto la piena, ma poi sono tornati a crescere più di prima. La loro è resilienza, che è mancata alle baracche.
L’inerzia non fa nulla, resiste solo con la sua massa. La resistenza può essere passiva, ma anche attiva, quando si fa qualcosa che contrasta la forza avversa, ma tende a conservare o reintegrare le condizioni che precedono l’evento catastrofico e non implica un concetto di crescita.
La resilienza invece si adatta all’evento invece di resistergli, e ne sfrutta la forza per acquisire vigore e svilupparsi meglio. Contro la forza del vento, il traliccio resistente cede di schianto, l’albero resiliente si adatta e cresce secondo quella stessa forza.
La resilienza quindi è la capacità di affrontare eventi traumatici e stressanti, superarli e continuare a svilupparsi aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita. E’ la capacità di trasformare una avversità in una opportunità, un’esperienza dolorosa o stressante in un apprendimento, per risorgere, reintegrarsi, recuperare forze e riprendere il cammino verso il suo obiettivo.
Ognuno di noi ha qualità resilienti innate che vengono messe alla prova da eventi stressanti che producono momenti di sospensione del nostro stato di equilibrio omeostatico. Le forze resilienti che riusciamo a sviluppare possono aiutarci a reintegrare la situazione in modo resiliente, a tornare allo stato di omeostasi precedente, oppure ad una reintegrazione con perdita di qualcosa, o disfunzionale in quanto la situazione si è decisamente deteriorata.
Alle qualità innate si aggiungono risorse psicologiche acquisite, sostegno sociale e disponibilità economiche. Per affrontare rischi e difficoltà ci vuole calma e coraggio, ma se si hanno amici e colleghi che aiutano, e soldi per riacquistare beni e servizi compromessi, è più probabile che riusciamo a superare la crisi senza perdite, ma possibilmente con guadagni. Il gradiente di rischio misura il rapporto tra rischi e protezioni. La rete di protezione è l’insieme di protezioni di cui disponiamo.
I fattori di protezione personali sono autoefficacia e autostima, intelligenza emotiva, ottimismo, empatia, indipendenza, osservazione, umorismo. I fattori relazionali sono una buona rete di persone care e buoni rapporti con amici e colleghi.
Un evento è più o meno impattante per la sua rilevanza (quanto l’evento è nuovo, piacevole, funzionale ai miei scopi), per le implicazioni (conseguenze positive e negative), per il coping potenziale (quanto posso controllare la situazione ed adattarmi ad essa), per il significato normativo (quanto l’azione è compatibile con codici personali e sociali). Resilienza e coping sono correlati, ma mentre il coping è l’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali per tentare di gestire gli eventi stressanti, la resilienza è la capacità di affrontare tali eventi, superarli e continuare a svilupparsi.
Oltre agli individui, anche le organizzazioni possono rispondere ai problemi in modo efficace, superare eventi negativi e traumatici per adattarsi alle richieste dell’ambiente, resistendo con successo a situazioni avverse e imparando così a sviluppare competenze collettive a partire dalle difficoltà, con la gestione del cambiamento e del rischio. In seguito a situazioni turbolente e impreviste si sviluppano nuove capacità e nuove opportunità. La resilienza organizzativa è come una fioritura che capitalizza le sfide inattese e diviene un fattore importante che consente all’impresa di sfruttare le sue risorse e capacità per risolvere i suoi problemi attuali e per costruire un futuro di successo. La resilienza non è uno stato, ma un processo: la stessa impresa può essere resiliente di fronte ad un problema, rigida di fronte ad altri problemi.
L’impresa può migliorare la sua resilienza con la comunicazione, l’esperienza, la consapevolezza di non poter gestire la complessità, un management basato su casi concreti, il sostegno delle capacità di recupero dei dipendenti, l’adattamento dei ritmi di cambiamento all’evoluzione dell’ambiente. Anche nella gestione dei rischi la resilienza è la capacità di modificare il proprio funzionamento prima, durante e dopo un evento critico, in modo da poter continuare le operazioni necessarie in condizioni previste e impreviste.
La resilienza si riscontra in sistemi appartenenti agli ambiti più svariati, come l’elasticità dei materiali (ingegneria), la resistenza ad usi prolungati e anche poco esperti (informatica), l’autoriparazione di organismi, dalle parti del corpo a interi individui capaci di guarire, o di popolazioni e habitat che si rinnovano dopo catastrofi e perturbazioni (ecologia e biologia).
Purtroppo tutto il sistema produttivo occidentale, basato sulla crescita continua, è efficiente ma non resiliente, e sta rendendo non resiliente tutto l’habitat terrestre, mettendo a rischio la nostra stessa sopravvivenza, come dimostrano gli studi sull’impronta ecologica globale, secondo cui la Terra non è più capace di rigenerare le risorse naturali che le vengono sottratte dallo sfruttamento economico. Basti pensare alla riduzione dei ghiacciai e dell’acqua, di specie animali in pericolo di estinzione e di risorse energetiche e minerarie.