Riduttori di complessità

Per Paul Watzlawick la soluzione deve essere più semplice del problema, altrimenti diventa una ipersoluzione che complica le cose e rischia perfino di aggravare il problema.

Già la corretta definizione del problema attuata con il problem setting è un riduttore di complessità: la complessità di uno stato di disagio di cui non si conoscono bene le cause, gli effetti, i rimedi, viene ridotta in un problema, ossia in qualcosa che noi siamo in grado di risolvere, in un obiettivo da raggiungere, in un ostacolo da superare o un impedimento da eliminare, in una o più domande a cui rispondere, separando ciò che possiamo risolvere, ciò che possiamo cambiare (il problema) da ciò che è al di fuori delle nostre possibilità di influenza, che non possiamo cambiare (le condizioni, il campo e le regole del gioco).

Tutti gli strumenti di cui si parla in questo Atlante sono riduttori di complessità, in quanto prendono in considerazione solo un aspetto del problema. Come diceva Bateson per invitare a dotarsi di più strumenti, a chi possiede solo un martello, le soluzioni si presenteranno solo in forma di chiodo. Tuttavia il martello ci porta a prendere in considerazione solo cose che si possono battere, e quindi riduce la complessità delle cose che possiamo fare.

Per avere un’idea di come funziona un riduttore di complessità, pensiamo ad uno strumento che ormai abbiamo tutti, Google Maps. Se lo apriamo ed digitiamo una località, possiamo scegliere il livello di complessità con cui vogliamo vedere la mappa del luogo scelto. La visualizzazione da satellite, a destra, è più ricca di informazioni e più “realistica”, la visualizzazione grafica, a sinistra, è più essenziale e mostra solo ciò che serve per circolare ed orientarsi: strade, autostrade, il fiume, il parco. Se vogliamo vedere come si presenta il quartiere dove vorremmo acquistare una casa, è preferibile la visione satellitare. Se invece stiamo guidando, più la visualizzazione è semplificata, meglio è. Quindi lo strumento ci presenta due livelli di riduzione di complessità della realtà urbana in cui dobbiamo muoverci e agire.

Un altro riduttore di complessità è l’approssimazione matematica. In alcuni casi ci serve una misurazione molto accurata, fino a valori infinitesimi. Nella maggior parte dei casi ci basta una misurazione approssimativa. Ci basta sapere che una città dista dall’altra 200 km, non serve sapere che in realtà dal nostro indirizzo di partenza a quello di arrivo ci sono 201,824 km. Allo stesso modo, se stiamo valutando la fattibilità di un progetto, non ci serve un piano finanziario al centesimo, ci basta un ordine di grandezza approssimato alle migliaia di euro.

Nel dialogo strategico un riduttore di complessità è la domanda ad alternativa. Se stiamo pianificando le vacanze, un primo riduttore è la domanda: montagna o mare? La risposta dimezza le scelte possibili. Se la risposta è “montagna”, l’alternativa è alta o media montagna? Scegliendo media montagna l’alternativa è albergo o camping? E così via, fino a ridurre al minimo le possibilità di scelta arrivando alla decisione.

Il contrario del riduttore è un amplificatore di complessità. Lo usiamo quando ci complichiamo la vita, affrontando difficoltà superiori al nostro livello di preparazione.

Poiché la riduzione di complessità comporta una riduzione di elementi, per scegliere lo strumento giusto bisogna chiarire a monte il risultato che ci serve, lo scopo di ciò che stiamo facendo. Se stiamo pianificando una passeggiata a piedi nel bosco, ci serve una mappa satellitare con una scala visiva di qualche centinaio di metri per centimetro, se invece vogliamo fare un viaggio di un centinaio di chilometri ci conviene usare una scala visiva di decine di km per centimetro e una rappresentazione grafica semplificata.