Significante, significato, referente: il triangolo semiotico

Il triangolo semiotico è una mappa semplificata del rapporto comunicativo tra significante, significato e referente, ossia fra messaggio, comprensione del messaggio e contenuto del messaggio.

Noi umani siamo animali sociali, e siamo abituati a vivere in cerchie più o meno grandi: la piazza del villaggio o del quartiere, la città, la regione, lo stato. Ci sembra naturale che tutti capiscano ciò che diciamo, o che capiamo ciò che vediamo o ascoltiamo. Al punto tale che i civilissimi Greci chiamavano “barbari” quelli che parlavano lingue incomprensibili, che alle loro orecchie suonavano come il cinguettio degli uccelli, a quanto ci dice Erodoto.
Tuttavia la consapevolezza che popoli diversi parlassero lingue diverse è adombrata nel racconto biblico della Torre di Babele. Quando nel bacino del Mediterraneo si intrecciarono culture e popoli in seguito a colonizzazioni e scambi commerciali, nel III sec. a. C. si arrivò ad usare una lingua greca comune chiamata koiné, che in greco significa proprio “comune”, che aveva la funzione che ai nostri tempi ha l’inglese.
Tutto questo per dire che per nominare la stessa cosa usiamo parole, regole e codici diversi, che vengono compresi solo da chi usa le stesse parole, regole e codici.

I linguisti hanno semplificato il rapporto fra parole e cose con lo schema del triangolo. Uno schema semplice e potente teorizzato da De Saussure, Peirce, Frege e altri. Il triangolo pone ad uno dei vertici il segno, qualcosa che sta al posto di qualche altra cosa e che si riferisce ad essa. In tal senso il segno, che può essere un fenomeno naturale come una nuvola, o artificiale come un segnale stradale, è un significante in quanto è qualcosa a cui noi attribuiamo un significato, che va a porsi su un altro vertice del triangolo. La nuvola a forma di pesce (segno) significa che sta per arrivare un temporale. La parola italiana “nuvola” (significante) significa “nuvola”, ossia un agglomerato di goccioline d’acqua o cristalli di ghiaccio che si forma nel cielo. Ma anche le parole “nuage“, “cloud“, “Wolke“, “kumo” significano “nuvola” nelle rispettive lingue francese, inglese, tedesca, giapponese, in quanto tutte si riferiscono a quella cosa che si forma nel cielo, e che nel triangolo si chiama referente e va a collocarsi nell’altro vertice del triangolo. Quello che cambia è la lingua, ossia il codice con cui si stabilisce che quella parola, quel significante, si riferisce a quella cosa, a quel significato, allo stesso modo arbitrario e convenzionale in cui si stabilisce che un segnale stradale rosso con una fascia bianca significa “senso vietato“, blu con una freccia bianca significa “direzine obbligatoria“.

triangolo semiotico

Il triangolo semiotico è la rappresentazione schematica più semplice delle relazioni fra significante, significato e referente. Mostra come il significante è direttamente collegato col significato, a patto che ambedue si tifetiscano allo stesso referente e condividano lo stesso codice.
Il rapporto fra significante e significato non è intrinseco e necessario, ma è costruito da noi in base alle nostre esperienze e consuetudini, quindi, per capirci quando comunichiamo, dobbiamo condividerne le regole, ossia di comportamenti che vengono ripetutti sempre nello stesso modo. Se io dico “pane” sono sicuro che chi mi ascolta pensi al pane. Se però dico “bread” a uno che non conosce l’inglese, che non condivide il mio codice linguistico, costui non penserà a niente. La comunicazione significa scambio di significanti e significati per mezzo di un codice condiviso (la lingua italiana o inglese), con cui ci si riferisce al medesimo referente.

Il significante dunque è qualcosa che io uso come segno per comunicare, un gesto, un grido, una parola, una frase, un’immagine, un oggetto, utilizzando un codice con cui presumo che il destinatario capisca ciò che gli voglio dire. Codifica e decodifica sono corrette se ambedue usiamo il codice nello stesso modo, sono aberranti se uno di noi usa il codice in modo scorretto o comunque diverso da quello dell’altro. Per esempio, una bandiera rappresenta un’identità nazionale oer chi la riconosce come tale, altrimenti è solo un pezzo di stoffa colorata.

Il codice può essere sconosciuto o deteriorato, come capita per lingue antiche e scomparse, o può modificarsi nel tempo, come il greco antico rispetto al greco moderno, o il latino rispetto alle lingue romanze, o nello spazio, come l’inglese britannico rispetto all’inglese americano o indiano. Può essere largamente condiviso come una lingua nazionale, o limitato ad un gruppo etnico, culturale o operativo, come un dialetto regionale, un gergo da ghetto urbano, i linguaggi medici o scientifici.
Il codice può anche esser usato per trasformarlo in un altro codice in modo da nascondere il messaggio, come è il caso dei messaggi cifrati dei servizi segreti, o da renderlo comprensibile a portatori di handicap, come il linguaggio dei gesti o il Braille.

Il significato può essere più o meno ampio e può cambiare in base alle intenzioni di chi emette il messaggio e alle competenze di chi lo riceve. Si va dal significato letterale di una parola o di una frase, fino ai significati simbolici, metaforici, ai doppi sensi, alla lettura fra le righe, alle decodifiche aberranti. Chi parla o scrive può chiarire il significato del suo messaggio con esempi, paragoni, spiegazioni, disambiguazioni, oppure renderlo più oscuro con allusioni, omissioni, generalizzazioni, manipolazioni, menzogne. Chi ascolta o legge può limitarsi alla lettera del testo, o aggiungere significati in base alla sua cultura, alle sue competenze specialistiche, alla conoscenza del contesto e della storia, alle convinzioni politiche o religiose.

Anche il referente può cambiare in base al contesto. La parola “pane” può essere riferita al concetto generale di pane, ad una pagnotta di pane casereccio, ad un pane a cassetta, o anche al cibo in generale (panem et circenses). Può lasciare indifferenti per la sua quotidianità, oppure suscitare emozioni all’ex prigioniero che ha patito la fame o al devoto che la riferisce all’eucaristia. In tal caso, oltre alla condivisione del codice linguistico, occorre la condivisione dei codici impliciti nel contesto culturale in cui avviene l’atto comunicativo. Fra celiaci il pane sarà senza glutine, fra toscani sarà senza sale, e non ci sarà bisogno di specificarlo. Il referente quindi non è qualcosa che appartiene alla realtà a prescindere dalla comunicazione, ma è solo quella parte di realtà a cui ci si riferisce entro un atto conoscitivo o comunicativo, entro una produzione di significato per noi esseri umani.

semaforo rosso

Anche nella comunicazione visiva l’immagine è il significante, la didascalia ne dichiara il significato, il referente è ciò che l’immagine rappresenta. Il codice è l’insieme di elementi grafici e visivi come colori, forme, simboli, con significati condivisi fra l’emittente e il destinatario del messaggio visivo. Per esempio, il semaforo obbedisce ad un codice di tre colori. Il significante è la luce che si accende sul verde, il giallo o il rosso, il significato è “vai”, “aspetta”, “fermati”, il referente è l’azione del fermarsi o del procedere nella situazione di traffico.

triangolo semiotico manet

Un quadro ha un codice più complesso che risponde ad un inseme di regole o generalmente accettate o imposte dall’autore stesso con il suo stile artistico. Le regole stabiliscono scelte, modalità,limiti e divieti come tecnica ad olio, formato quadrangolare, visione prospettica da lunga distanza, pennelli grandi, colore non diluito, ecc.
Se disponiamo sul triangolo semiotico il dipinto di Monet che raffigura la Falesia di Étretat in Normandia, il quadro è il significante, che dipende dal punto di vista, dalle condizioni ambientali e dallo stile scelti dall’artista, a cui si può aggiungere una didascalia o l’etichetta del quadro con titolo e data. La nostra percezione del quadro è il significato, che varia in base alle nostre conoscenze e alla nostra sensibilità, al nostro modo di osservarlo, alla conoscenza che abbiamo dell’artista e del movimento impressionistico francese. Il referente è la falesia che possiamo vedere recandoci sul posto o guardandone una foto, o meglio la falesia come era nel 1884.